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In Italia solo 207 aziende hanno ricevuto il “bollino etico” anti caporalato (Inps). Cittalia: “sulla condizione di vulnerabilità e precarietà di gran parte dei lavoratori stranieri in agricoltura continua a pesare lo status di straniero”

Dopo le tragedie estive e le polemiche sul caporalato, in Italia non c’è stata una corsa all’Inps per iscriversi alla “Rete del lavoro agricolo di qualità”, che dava la possibilità di avere un “bollino etico” che certificava la lotta di quella specifica azienda contro il caporalato. “Su oltre un milione e mezzo di aziende agricole in Italia - dicono dall’Inps - dall’1 settembre (data di nascita della rete) ad oggi, ci sono state solo 669 domande e solo 207 sono state quelle accolte. Calcolando che le potenziali aziende interessate alla Rete possano essere 200.000 - continua l’Inps - praticamente solo una azienda su 1000 lo ha ottenuto”.
“Sulla condizione di vulnerabilità e precarietà di gran parte dei lavoratori stranieri in agricoltura continua a pesare lo status di “straniero””: questa una delle conclusioni di uno studio (dati sul 2014), realizzato da Cittalia-Anci Ricerche e dalla Fondazione Di Vittorio presentata a Roma, nella sede della Cgil nazionale per il progetto “Agree”, nato per “favorire la creazione di una nuova cultura del lavoro agricolo contro lo sfruttamento, il caporalato e l’illegalità”.
“Tra gli altri punti di debolezza - continua lo studio di Cittalia, che ha messo nel mirino il lavoro in alcune aree agricole di Italia (Agro Pontino), Spagna (Maresme, Montsià e Baix Ebre) e Romania (aree rurali) - figurano anche l’inadeguatezza dei sistemi di emersione dei casi di sfruttamento e la sostanziale assenza di strumenti idonei a tutelare efficacemente le vittime. Tuttavia, viene evidenziato, in tutti i contesti considerati lo sfruttamento lavorativo è ampiamente diffuso, sia nei casi di produzioni stagionali sia nelle produzioni intensive”.
“In Spagna e Italia - si legge - viene fatto un massiccio ricorso a manodopera straniera a basso costo. In Romania invece si registra la presenza di addetti prevalentemente “interni”, poco qualificati e a basso costo”.
A seconda dei diversi luoghi di lavoro, inoltre, emergono tipologie di organizzazione produttiva che favoriscono in modo diverso le forme di sfruttamento. Nell’Agro Pontino “lo sfruttamento è diffuso in modo uniforme su tutto il territorio, non solo tra i lavoratori presenti irregolarmente, ma anche tra chi possiede un regolare permesso di soggiorno. Un peso particolare, poi, è dato dalle dimensioni delle aziende, non a caso in tutti i territori considerati lo sfruttamento - sottolinea lo studio - è più diffuso tra le piccole aziende a conduzione familiare, che riescono a sopravvivere alla concorrenza degli altri produttori grazie alla compressione dei costi di produzione, scaricandola sulle condizioni lavorative e salariali della forza lavoro”.

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