Le prime Denominazioni del vino italiano, nate 50 anni fa, nel 1966, a tre anni dalla legge che nel 1963, le istituiva, sono state uno strumento fondamentale per lo sviluppo del vino italiano, contribuendo da un lato alla crescita e alla promozione nei mercati, e dall’altro alla formazione del tessuto imprenditoriale vinicolo italiano così come lo conosciamo, creando delle regole e dei disciplinari di produzione comuni per tutti i produttori. Eppure, oggi che in Italia se ne contano più di 400 (74 Docg e 333 Doc, a cui vanno aggiunte 118 Igt, per un totale di 525), bisogna pensare alla loro evoluzione, in un mondo sempre più globalizzato, e in un quadro normativo internazionale sempre più complesso, dove a contare è quasi esclusivamente la tutela dell’origine geografica del prodotto, e non il vitigno, che, d’altronde, insieme ai mille territori, è uno dei grandi elementi identitari del vino italiano. Ecco, in estrema sintesi, il messaggio che arriva dal convegno “A cent’anni”, promosso dal Consorzio delle Denominazione San Gimignano, per celebrare i 50 anni della Doc per la Vernaccia di San Gimignano, la prima Doc d’Italia (dal 6 maggio 1966, quando sul numero 110 della Gazzetta Ufficiale viene pubblicato il conferimento della Denominazione di origine controllata, a compimento del Dpr del 3 marzo 1966, prima applicazione della Legge 930/1963, che stabilisce l’istituzione della Denominazione di origine per i vini; la Docg arriverà invece nel 1993), appena un giorno prima della Doc Est! Est! Est! di Montefiascone (che celebra oggi il suo cinquantenario, ndr). Dove si è parlato non solo della denominazione della “New York del Medioevo” e del suo vino principe, citato nella storia da Dante, Boccaccio, Michelangelo, Gucciardini, Lorenzo il Magnifico, Redi e tanti altri, ma anche del futuro di questa e delle denominazioni italiane più in generale.
Perchè se è giusto celebrare una ricorrenza importante, il compleanno di uno strumento che ha segnato mezzo secolo di storia del vino italiano e contribuito al record delle esportazioni di 5,4 miliardi di euro nel 2015, come ha ricordato, in un messaggio, il Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, è altrettanto importante riflettere sul domani, sulle potenzialità e sulle criticità del sistema delle denominazioni italiane.
Che nascono da una concezione di origine geografica “che parte dal diritto romano - ha ricordato il presidente di Federdoc Riccardo Ricci Curbastro - quando il vino di un certo luogo veniva “aprezzato” di più, nel senso che costava di più, rispetto a quello di altra provenienza, e contestualmente nacquero ovviamente anche le frodi. Oggi in Italia, però, al netto di 595 tra Doc, Docg e Igt, “le prime 75 Denominazioni danno vita al 90% del vino che è sul mercato e che viene esportato, e su questo occorre riflettere. Perché quando in Ue e all’estero si fanno i trattati sulle denominazioni di origini non siamo soli, ed è evidente che non tutto è tutelabile. E poi ci sono tante sfide che le Do, e i Consorzi che le tutelano, devono affrontare. Per esempio, è stato importante scongiurare la liberalizzazione dei diritti di impianto, evitando così che, in un panorama produttivo fatto di moltissime realtà si arrivasse ad un eccesso di offerta incontrollabile. Ma del resto, la richiesta di 66.000 ettari per nuovi impianti sui 6.000 all’anno concessi all’Italia dal nuovo sistema delle autorizzazioni Ue (che prevede il +1% per Paese all’anno, ndr), evidenzia che qualcosa non quadra, e le cose vanno sistemate. Ma è anche vero che forse bisogna ragionare di aggregazioni tra consorzi stessi, anche per portare più denominazioni sotto l’egida di un solo consorzio dove possibile, e perchè no pensare che certe denominazione molto piccole potrebbero essere inquadrate come sottozone di denominazioni più grandi. Anche per una più semplice tutela internazionale, che a volte, in Paesi come gli Usa, che sono il mercato del vino più importante del mondo, richiede addirittura che si investa nella complessa e costosa registrazione dei marchi, perché certe denominazioni non vengo riconosciute. Basti pensare - ha aggiunto Curbastro - che dagli americani nomi come “Chianti” o “Champagne” sono considerati termini semigenerici, e quindi nessuno, facendo leva sulla tutela delle denominazioni, può impedire ad un produttore americano di scrivere “Chianti” o “Champagne” in etichetta” su un vino made in Usa. Ma c’è il grande tema del web e dei domini .wine e .vin, quelle della sostenibilità, e le riflessioni da fare sui disciplinari. Che non sono la “bibbia”, non sono immutevoli, anzi. Ogni disciplinare in uso oggi dovrebbe essere la base per pensare a quello di domani, tenendo ferme le identità, ma pensando che tante cose dentro e intorno al vino cambiano, dal clima, all’ambiente, ai mercati”.
“Anche perchè alcuni mercati sono attenti e interessati a certe Doc, altri non sanno nemmeno di cosa si parla - aggiunge il Presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella - e poi teniamo contro che il vino esiste se viene venduto, se trova mercato. Una Doc che non è dinamica, che non sa cambiare, non ha senso. Dobbiamo guardare avanti, dire grazie ad uno strumento come quello delle denominazioni che ha contribuito a dare forma al tessuto produttivo italiano, ma pensare anche che se alcune cose vanno cambiate non dobbiamo temere di farlo. Tanto più ora, che c’è un’attenzione della politica al vino italiano forte come non mai. È il momento giusto per pensare di riscrivere le regole adeguandole ai tempi. Anche perchè il vino di 30 anni fa - aggiunge Cotarella - non ha nulla a che vedere con quello che è oggi, c’è stata una evoluzione totale, e come siamo cambiati noi devono cambiare le regole. Quello che viviamo oggi non è solo un momento di grande dinamismo del settore: io sto con tanti giovani perchè insegno, e vedo che hanno tante idee, chiare e importanti, molto più della nostra generazione. Loro, il nostro patrimonio vinicolo, la biodiversità, i nostri territori, sono la garanzia di un grande futuro”.
Eppure, tanto del futuro delle denominazioni del vino italiano, come ribadito anche dall’eurodeputato Paolo De Castro, da Bruxelles, “passa per la tutela internazionale, su cui lavoriamo costantemente, sperando anche che alcune delle semplificazioni promesse dal Commissario all’Agricoltura Phil Hogan non diventino nuovi oneri”.
Ma in questa prospettiva, il vino italiano vive di luci e ombre. Perchè, come ricordato dal professore Michele Antonio Fino, docente di diritto, “quello che conta e che è tutelato, anche fuori dall’Unione Europea, è la provenienza geografica. Alcune denominazioni, come la Vernaccia di San Gimignano, il Brunello di Montalcino o il Sagrantino di Montefalco, per fare degli esempi, sono abbastanza al sicuro, perché sono legate ad un luogo specifico. Altre, legate in maniera esclusiva o preponderante al vitigno, come spesso accade in Italia, devono stare attente, perché nessuno può impedire a produttori americani o australiani, ad oggi, salvo accordi internazionali specifici in sedi come il Wto, per esempio, di piantare varietà di vitigni italiani, produrne vino, e scrivere il nome del vitigno in etichetta, e quindi ad oggi nessuno può impedire che si trovino etichette di Sangiovese, Barbera, Sagrantino, Nero d’Avola, Lambrusco, Canoiolo e altri che siano legalmente made in Usa o made in Australia. E anche le denominazioni più forti, come la Vernaccia di San Gimignano, devono pensare che la loro tutela è legata più a “San Gimignano” che a “Vernaccia”, e su questo si deve lavorare”.
Vernaccia di San Gimignano, di cui ha parlato più approfonditamente Alberto Mattiacci, economista dell’Università La Sapienza di Roma. Secondo cui il vino principe della città delle torri, ha grandi potenzialità per il futuro. “Oggi se ne producono 5 milioni di bottiglie su 720 ettari, per un valore all’origine di 5,9 milioni di euro. Una produzione piccola, ma questo può essere un bene, se si pensa a produrre un vino di nicchia nel senso positivo, ovvero con una forte identità, non per tutti, e questo permette di lavorare sul posizionamento di prezzo. E poi è uno dei vini bianchi italiani che sta meglio da molti punti di vista: è tra i tre più conosciuti, visto che lo nomina il 67% delle persone a cui si chiede di nominare i vini bianchi che conosce (con 77% e 76% al top ci sono Verdicchio e Vermentino), ed è tra quelli il cui prezzo ad ettolitro è più alto, con 145 euro ad ettolitro. Tutti aspetti che, oggi, possono consentire a Consorzio e produttori di pensare con più fiducia al domani. Anche perchè è un vino tipico, identitario, di carattere, e la globalizzazione, che si temeva avrebbe omologato tutto e tutti, ha portato invece a riscoprire l’importanza delle produzioni identitarie. È un vino, ancora, che non è di moda, e questo non è negativo, perchè le mode passano. Ora tra i vini bianchi sono di moda quelli molto aromatici, profumati, mentre la Vernaccia ha un’altra personalità, un altro carattere, “picca e punge” (la frase è ripresa dalla parole del grande artista Michenlangelo), e questo può consentirgli di affermarsi al di là della moda, tra chi ne ama le caratteristiche, in maniera consolidata e duratura. Ha dalla sua la forza del brand Toscana, che associato al vino è potentissimo, anche se forse un po’ meno che in passato, e più legato ai vini rossi. Ma molti producono Vernaccia di San Gimignano “biologica”, e quello del bio è uno dei settori che cresce di più in generale. Insieme a prodotti tipici e locali, come testimoniano i numeri ed i sentiment della gdo, e la Vernaccia di San Gimignano tipica e locale lo è di certo. Ed è un vino che, per tutti questi motivi, può aspirare a posizionarsi sempre di più nella fasce medio altra di prezzo, tra i 10 ed i 15 euro a bottiglia allo scaffale. È un vino con una grande storia, con una grande identità, e anche se non mancano criticità, come l’assenza di produttori leader nel territorio, una qualità talvolta discontinua e il rischio di adagiarsi troppo sul pur fortissimo turismo locale di San Gimignano, ha un grande futuro davanti, se saprà coglierlo”.
“E riflettere sul futuro, oltre che celebrare i primi 50 anni della Doc della nostra Vernaccia di San Gimignano, e i secoli di storia che questo vino ha alle spalle, è il nostro compito”, ha detto la presidente del Consorzio della Denominazione San Gimignano, Letizia Cesani. “Anche insieme alle istituzioni e alla comunità di cui il Comune è espressione - ha detto il Sindaco di San Gimignano, Giacomo Bassi - e che ha capito che quella del vino e della Vernaccia è una delle sue anime più importanti”.
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