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Mantenere la biodiversità in un territorio del vino, è possibile anche nella stessa viticoltura. Rivitalizzando anche produzioni meno forti sul mercato e diversificando gli investimenti. Il commento di Petrini sul quotidiano “La Repubblica”

Le mode cambiano, anche attorno ad una bottiglia di vino. Ma il territorio, dove quel vino si produce, resta, in eredità a chi viene dopo di noi. A patto di mantenerlo, a partire dalla sua biodiversità. La case history di Barolo, al centro del commento di Carlo Petrini, langarolo, presidente e fondatore di Slow Food, sulle pagine del quotidiano “La Repubblica”, ci ricorda questo.
Piccola grande realtà del vino italiano, che deve la sua fortuna al grande rosso, è anche all’interno della stessa viticoltura che può mantenere la sua biodiversità, secondo Petrini: l’egemonia del Barolo e Barbaresco “mette a rischio gli altri vini” delle Langhe. Barbera, Dolcetto e Freisa “sono diventati meno à la page”, mentre restano “fondamentali per raccontare l’anima, la storia agricola e l’unicità del territorio” che, come in quasi tutte “le zone vinicole di maggiore tradizione in Italia e non solo, ha sempre fatto della diversità la sua caratteristica peculiare”.
Consapevoli con lui che il mondo del vino è radicalmente cambiato, a partire “dalla percezione che si ha oggi, da parte del pubblico, del prodotto vino”, e che “siamo di fronte ad un mercato in continua crescita”, così come, banale dirlo, “quanto il vino giochi un ruolo centrale, anche identitario, nell’economia e nella socialità”, nei territori che prosperano proprio grazie al vino (“ormai i terreni da Barolo hanno raggiunto quotazioni record e sono sempre più oggetto di acquisto di grandi realtà estere”) mantenere la diversità vuol dire anche recuperare o rivitalizzare quelle produzioni meno forti sul mercato, con dinamiche diverse, diversificando gli investimenti e investendo risorse per il territorio. Non più tardi di mezzo secolo fa, “la Barbera era considerata il vino più nobile, il Dolcetto veniva venduto più caro del Barolo”. Una riflessione che potrebbe estendersi ad altri importanti territori del vino italiano, Patrimonio dell’Unesco o meno. “Solo un territorio che sa valorizzare, difendere e comunicare la sua complessità può davvero avere una prosperità dalla lunga vita e dalle basi solide”, conclude Petrini.

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