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Non c’è bellezza senza qualità. Vale anche per il vino, dalla bottiglia alla sua “estetica”. “Questi principi devono ispirare anche la comunicazione, la cui qualità deve corrispondere al prodotto”. Così Stefano Zecchi, in lectio magistralis, ad Asti

“La bellezza non cambia nel tempo, cambia solo il mondo di rappresentarla, ma in questo caso si parla di stile. La bellezza esprime sempre identità, come ci ricorda Dostoevskij in un brano de “I demoni: “L’uomo potrebbe fare a meno della scienza, forse persino del pane ma non può rinunciare alla bellezza perché lì c’è il senso del mondo”. Ecco perché il fondamento dell’etica è nell’estetica. L’estetica è una vera e propria disciplina che va insegnata fin da bambini ed è compito delle famiglie e delle scuole farlo. Perché solo su un’estetica condivisa tra le diverse culture si può basare una nuova etica della convivenza”. Ecco, in estrema sintesi, la lectio magistralis di Stefano Zecchi, scrittore, giornalista e accademico italiano, ex professore ordinario di Estetica all’Università degli Studi di Milano, nell’educational-talk “Etichetta, Estetica e Bellezza”, di scena oggi nell’Aula Magna dell’Astiss-Polo Universitario Asti Studi Superiori, per lo storico riconoscimento enoico “Douja d’Or 2016”.

Al centro del dibattito, quello che Zecchi ha definito “il biglietto da visita di un vino”: l’etichetta, in grado di trasmettere anche il suo valore aggiunto, come, per esempio, il nascere in un territorio Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.

“Questi principi generali devono ispirare anche la comunicazione - ha continuato Zecchi - la qualità della comunicazione deve corrispondere alla qualità del prodotto. Noi stessi associamo naturalmente il bello al buono. È una relazione rassicurante, istintiva, immediata”.

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