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Le regole per l’assegnazione delle autorizzazioni per l’impianto di nuovi vigneti mostrano più di una crepa. Le riflessioni di Aldo Lorenzoni, direttore del Consorzio del Soave: “classificare le aree e dare priorità a chi produce vini di qualità”

Italia
Aldo Lorenzoni, dg direttore del Consorzio del Soave

Che le regole per l’assegnazione delle autorizzazioni per l’impianto di nuovi vigneti previste dal Ministero delle Politiche Agricole per ottemperare alle nuove regole Ue, che prevedono che, dal 2016, ogni Paese membro possa far crescere il proprio vigneto al massimo dell’1% ogni anno, non fossero esenti da critiche e possibili miglioramenti, era emerso a fine agosto, quando Winenews, analizzando le domande presentate, per oltre 66.600 ettari (oltre 34.000 dal Veneto, su una disponibilità di 804 ettari, ed oltre 10.000 dal Friuli Venezia Giulia, su 238 ettari, http://goo.gl/Fw3W7r, ndr), sui soli 6.300 a disposizione, sottolineò come 57.645 sono stati “opzionati da imprese attive nel settore dei seminativi, 1.500 sono stati richiesti da proprietari di terreni adibiti a pascolo o utilizzati in coltura promiscua e solo 7.440 ettari, pari all’11% del totale, da aziende vitivinicole”. Numeri che, a suo tempo, fecero irritare organizzazioni di categoria e mondo del vino, e che adesso finiscono al centro delle riflessioni di Aldo Lorenzoni, direttore del Consorzio del Soave, tra i territori più importanti della produzione bianchista del Belpaese. “Quando a fronte di una disponibilità di 6.376 ettari di nuove autorizzazioni all’impianto di vigneto (1% del sistema viticolo Italia) - scrive Lorenzoni - arrivano alle Regioni richieste di impianto per 66.614 ettari (esattamente 10 volte in più) vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Se poi quasi tutti questi ettari richiesti (l’86%) vengono da aziende specializzate a seminativo (fonte: Uiv) abbiamo la conferma del grave errore. Questo dato diventa ancor più eclatante in Regioni come il Veneto e Friuli dove il meccanismo dell’assegnazione puramente proporzionale porterà nuovi vigneti praticamente solo in areali di pianura prima investiti a seminativo. Se si fosse tenuto conto anche solo di alcune priorità nell’assegnazione degli impianti oggi non saremmo qui ad assistere a nuove vigne piantate là dove, fino a qualche anno fa, erano stati dati contributi per l’estirpazione o impianti realizzati in aziende che hanno da poco ceduto diritti a caro prezzo a seguito di estirpazioni”.
“Credo quindi che il sistema vitivinicolo nazionale - propone Lorenzoni - facendo tesoro dei gravi errori dell’ultima assegnazione, debba aprire un confronto serio su questo tema per favorire finalmente quei territori dove il vigneto va ad integrarsi in un contesto produttivo e paesaggistico di qualità e di esperienza. Il decreto sulle autorizzazioni si prefigge di garantire in un contesto di libertà la crescita graduale delle aziende vitivinicole e dei vari territori vocati, non certo con l’obiettivo di creare in contesti produttivi non storicizzati impianti standardizzati ed avulsi dal contesto produttivo o bacini di impianti “cedibili” con il meccanismo dei finti contratti di affitto (impianti per conto). Clausole di salvaguardia, criteri di ammissibilità e priorità possono consentire nel 2017 di ottenere un risultato, regione per regione, sicuramente più corretto, etico ed efficace di quanto fatto nel 2016. Il decreto ministeriale 2272 del 2015 - continua Lorenzoni - che recepiva le norme per l’attuazione del nuovo sistema autorizzativo codificato della direttiva UE 1308 del 2013, aveva tra i criteri preferenziali il conduttore giovane dell’azienda e la costituzione di impianti che contribuissero alla conservazione dell’azienda utilizzando le produzioni più qualificate Doc e Docg”.
“È qui prevista anche una priorità per le piccole/medie aziende perché con i nuovi impianti possano diventare più specializzate ed economicamente sostenibili. Codificare per ogni areale questi concetti - aggiunge Lorenzoni - consentirebbe ad ogni sistema territoriale di pianificare al meglio la crescita, anche utilizzando altri parametri, come la classificazione delle aree in collina e in pianura, differenziando ettari e punteggi, escludendo chi ha ceduto diritti, premiando le aziende che hanno rivendicato vini di qualità e quelle con una alta percentuale aziendale a vigneto. Potrebbe essere premiata anche la conduzione biologica ed andrebbe limitato il livello minimo e massimo di ettari per azienda. Tutti i parametri che sulle scorta di altre esperienze possono consentire ad ogni regione il migliore risultato nell’interesse di una crescita equilibrata e qualitativa. A margine di queste considerazioni generali va sottolineato, comunque, che la viticoltura specializzata e storicizzata di collina ha oggi bisogno di nuovi e più dedicati strumenti per resistere alla sfida lanciata dalla viticoltura di pianura dove estensione e meccanizzazione sono fattori che concorrono a ridurre di molto i costi produttivi. Negli areali collinari - conclude Lorenzoni - parcellizzazione e manualità sono oggi fattori limitanti se alle spalle non è attivo un brand collettivo forte. Il rischio di uno scivolamento delle viticolture a valle se non “a mare” è oggi molto concreto tanto da richiedere con urgenza provvedimenti specifici”.

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