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“Slow Wine è un manifesto politico: porta con sé tutto il messaggio di Slow Food”: Daniele Buttignol, segretario Slow Food Italia, ieri, a Montecatini Terme. Gli importatori: ecco le strategie giuste per far apprezzare i prodotti Slow Wine all’estero

“Slow Wine è molto più di una guida, è un manifesto politico: porta con sé tutto il messaggio di Slow Food”. Così Daniele Buttignol, segretario generale Slow Food Italia, ieri, a Montecatini Terme, per Slow Wine 2017. “La recente storia del vino nel nostro Paese, a partire dallo scandalo del metanolo che nel 1896 ha messo in ginocchio il comparto italiano, segue la storia di Slow Food. Slow Wine racconta proprio questo percorso comune, scrive la storia della grande capacità dei produttori italiani di risollevarsi dopo quella tragedia, del loro impegno a restituire al cibo e al vino il giusto valore. Per questo il mondo del vino può fare da apripista per tutta la nostra economia: il vino non ha ricetta, ma un territorio e dentro ogni bicchiere c’è la storia e l’identità di quel territorio. E questa è la formula vincente per promuovere e valorizzare la nostra produzione agroalimentare, che nell’identità può trovare la vera forza”.
Una strada questa di Slow Wine indicata anche dai tre importatori di vini stranieri, chiamati a condividere con i produttori Slow Wine le strategie giuste le per far apprezzare i propri prodotti all’estero. “La Francia si contende con l’Italia il primato di maggiori produttori di vino - spiega Bruno Colucci, consulente agroalimentare & vino del gruppo Carniato Europe, in Francia - ed è gelosa delle proprie eccellenze, difficilmente si apre al vino italiano. Considerate che l’80% dei vini stranieri sono distribuiti dalla gdo, e qui l’Italia, con i suoi 11 milioni di euro di venduto, arranca dietro Spagna, che vende per 35 milioni di euro, e Portogallo. C’è quindi un margine di progressione enorme. Dobbiamo puntare sul commercio di prossimità, l’unico che può dare una marcia in più alle nostre produzioni. Questo perché, oggi, il francese che desidera la qualità italiana può solo rivolgersi alla ristorazione. Per questo bisogna puntare sui negozi di prossimità, le piccole enoteche, le botteghe alimentari. Il vino italiano non deve competere con il prezzo, l’Italia, non è un paese da produzioni mastodontiche, non può sfamare il mondo o annegarlo con i suoi vini. Ma dalla sua parte ha la grande ricchezza di proporre caratteristiche uniche al mondo. Per questo si salverà con l’artigianato e con le piccole aziende che si impegnano per ottenere il miglior risultato possibile”. Altrettanto complicato è sbarcare in Cina, Paese cui molti produttori stanno guardando con crescente interesse: “il mercato cinese - spiega Alessandro Mugnaioli, sales Advisor Yishang Wine Business Consulting Co.Ltd - condivide molte caratteristiche con quello francese, perché, per i cinesi, il vino è per antonomasia francese. Ma non solo: prima di noi arrivano Australia, Chile e Spagna. Questo anche perché con Australia, Nuova Zelanda e Cile la Cina ha un accordo commerciale che abolisce i dazi. Come entrare stabilmente nel mercato cinese? Attraverso la formazione degli operatori, stiamo lavorando affinché si appassionino al nostro prodotto, anche perché in generale in Cina non si ha nemmeno idea che l’Italia produca vino. Per cui dobbiamo impegnarci per una grande comunicazione di massa e insistere per una promozione di qualità fatta dai consorzi e le cantine. Uno strumento utilissimo sarebbe proprio Slow Wine: il racconto perfetto per soddisfare la grandissima voglia di conoscenza dei cinesi”.
Stando ai numeri, dovremmo avere vita facile negli Usa dove da anni conserviamo il primato delle esportazioni. E, invece, ci spiegano Iacopo Di Teodoro NYC, Italian Portfolio Manager, Artisanal Cellars e Giuseppe LoCascio, Fine Wine Sales & Marketing Consultant, US: “negli States si consumano 340 milioni di casse da 9 litri di vino (12 bottiglie) all’anno. Nel 2015, il consumo pro capite è stato di 15 bottiglie. Di questi, due terzi è prodotto domestico, soprattutto californiano. Nel terzo che rimane l’Italia se la gioca con tutti gli altri. Al momento siamo in testa, ma non con un margine altissimo: nove milioni di casse nei primi 4 mesi del 2016, che significa che un terzo di vino importato è italiano. Se poi guardiamo nello specifico i vini mossi, i nostri rappresentano praticamente i 2/3 delle importazioni a stelle e strisce. Ma questo non ci deve rassicurare. Il mercato statunitense è molto variegato e oggi dominato dai millennials: curiosi sì, ma poco dediti all’approfondimento, rincorrono soprattutto le novità. Quindi il miglior suggerimento che possiamo dare è quello di comunicare con grande chiarezza, di dare tutte le informazioni possibili a partire dall’etichetta. A partire, per esempio dalle certificazioni, considerato l’orientamento del mercato verso le produzioni biologiche e i vini naturali”. Una tendenza non solo del mercato, ma anche una scelta etica e sociale; scelta che Slow Food sostiene da sempre e che ora Slow Wine ha voluto intraprendere in maniera chiara e netta e che passerà, come raccontano i curatori di Slow Wine, Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni, anche dal rifiuto totale dei diserbanti chimici in vigna: “una scelta necessaria, i tempi sono maturi e le tecniche agricole lo consentono”.

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