Ha fatto della cucina spagnola un punto di riferimento per il mondo della ristorazione, rivoluzionando tecniche e concetti, mollando tutto una volta raggiunto il vertice, a luglio 2011, per seguire nuovi stimoli e nuovi percorsi, sempre e comunque legati al mondo dell’alimentazione. È Ferran Adrià, chef catalano che dai fornelli de El Bulli, vicino Girona, ha dato una vera e propria cifra stilistica alla cucina moderna, segnando una rottura con il passato ed un punto di inizio, interpretato oggi al meglio dal più promettente dei suoi allievi, Massimo Bottura, il miglior chef del mondo, all’Osteria Francescana di Modena. Ma cosa fa oggi Ferran Adrià, e a che punto è il progetto del “Bulli Lab”, l’officina creativa che prenderà il posto del ristorante? Lo racconta, in una lunga intervista rilasciata alla penna gastronomica di Gigi Padovani, per il quotidiano “Il Messaggero”, lo stesso chef catalano, alle prese con una miriade di idee, tra Spagna e Italia.
Innanzitutto, per chi pensasse che lo chef oggi 55enne fosse andato in pensione, la notizia è che non c’è niente di più distante dalla realtà. “Non mi sono mai ritirato. Nella mia Fondazione - racconta Adrià - con un gruppo di giovani ingegneri, designer, storici, filosofi, qui a el Bulli Lab lavoriamo su 15-20 progetti: piano piano, nel luglio 2017 ci trasferiremo a Cala Montjoi, dove nel 1986 sono entrato come chef: dietro al mio vecchio ristorante sta sorgendo un’area che è tre volte questa. Si chiamerà elBulli1846: prende il nome dal numero delle ricette che abbiamo creato con la mia brigata, ed è l’anno di nascita del grande chef Auguste Escoffier, che ha codificato la cucina francese. In questi locali di Carrer de Mexico, dove ora c’è la Fondazione, aprirà la Bulligrafia: un museo- laboratorio, nel quale faremo ordine su mille e mille oggetti originali di tutta la storia di el Bulli, dall’apertura del 1961 al 2011”.
Chi sperasse di vedere Adrià in Italia, nello spazio Lavazza di Torino, dovrà invece mettersi l’anima in pace, perché, come chiarisce lo chef catalano, “collaboro con Lavazza dal 2002, quando nacque l’Èspesso: per me è la mia famiglia. Lei pensa che dopo aver chiuso el Bulli possa riaprire un ristorante a Torino? Io do loro una mano. Vogliamo creare un progetto culturale sulla cucina italiana, non soltanto un posto dove si va a mangiare. E non sarà un locale di super lusso: sarà informale, divertente, per condividere un’emozione. In Italia non ci sono. Potremmo dire che è una nuova visione di una trattoria. Si dividerà il piatto, un po’ come i “cicheti” veneziani, il vostro street food, le nostre tapas. Il cuoco sarà un italiano, al quale darò i miei consigli”.
In Spagna, invece, come scrive Gigi Padovani, Adrià ha lanciato il progetto “Escuelas Creativas” per migliorare l’educazione in Spagna, con corsi per i docenti. “il mondo si è evoluto grazie alla creatività. Dietro al successo di el Bulli c’è un metodo che vogliamo insegnare: l’abbiamo battezzato “Sapiens”. Non è facile da spiegare. Le posso fare qualche esempio sulla gastronomia, per ricordare quanto è complessa la realtà “virtuale” in cui viviamo. La pizza? Non è italiana, è di Napoli. Il guacamole qui da noi è una salsa molto popolare, però non è spagnola. A Barcellona si mangiano le crocchette ovunque, ma sono francesi, perché c’è la besciamella ...”. Ed è qui che si riallaccia la storia de El Bulli, la cui importanza, ricorda lo chef, “non tanto le tecniche innovative che abbiamo lanciato, ma l’apertura mentale che c’era. La cucina italiana è una delle 4 o 5 culture storiche della grande gastronomia mondiale, con la Cina. C’erano anche l’Egitto e la Grecia, ma si sono perse per strada. La Francia? Non è stata una civiltà come le altre. Ricordate che in Italia tutto è incominciato con l’Antica Roma, non si studiano abbastanza quei piatti. Nella nostra biblioteca ci sono le ricette di Apicio. Anche per questo l’Italia è sul podio, sta sopra al mondo”.
Ma la cucina, in questi ultimi anni, ha fatto passi da gigante, e se 15 anni fa “in serie A c’era soltanto la Francia, con Spagna, Italia, Svizzera che erano la serie B, oggi tutti sono protagonisti: anche Danimarca, Norvegia, Perù, Messico, Singapore, Vietnam. Stiamo vivendo una grande momento di scambio culturale. In un giorno, oggi, si creano più nuovi piatti che nei cento anni precedenti. Mai nella storia ci sono stati tanti cuochi così bravi, sono tanti ragazzi tra i 20 e i 30 anni. In due decenni - ricorda Adrià - il sushi si è diffuso ovunque, è ormai come la paella in Spagna. Prima ci volevano 5.000 anni per lo scambio dei prodotti e dei piatti, ci volevano un Marco Polo o un Cristoforo Colombo. Ora siamo diventati una grande civiltà globale: è una cosa diversa dalla globalizzazione. Adesso anche a Barcellona si può mangiare cucina catalana, giapponese, turca. C’è un’offerta gastronomica e culturale molto ampia. Oggi non si mangia più come ai tempi di Bartolomeo Scappi, il cuoco di Papa Pio IV nel XVI secolo che scrisse l’“Opera dell’arte del cucinare”: era geniale, ma certo quei piatti non sono più attuali. È in corso una continua evoluzione: perché non fare la pizza con il mais? In fondo - conclude lo chef catalano - voi avete la polenta, ma che è americana ... E tutto si mescola”.
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