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“Wine&Siena” - Le cantine investono sulla sostenibilità. Ma ci sono poche le risorse per la ricerca, e non c’è una strategia collaborativa con le Università. Il messaggio del convegno “Sostenibilità come strategia di business per le aziende del vino”

Le cantine tricolore investono sulla sostenibilità, ma sono poche le risorse per la ricerca perché non c’è una strategia collaborativa con le Università. È il messaggio del convegno “Sostenibilità come strategia di business per le aziende del vino” di “Wine&Siena”. “Un litro di vino imbottigliato - spiega Michele Mannelli dell’azienda di Montepulciano Salcheto - emette 1,83 Kg di CO2; il confezionamento delle bottiglie determina il 38% delle emissioni; il trasporto delle bottiglie provoca, invece, il 26% delle emissioni, mentre il processo di coltivazione delle viti ne genera il 27%, soprattutto a causa dei concimi e dei pesticidi che spesso vengono impiegati per ottenere una produzione agricola migliore; a questo va aggiunto un 9% di CO2 emesso dalla fermentazione del vino. Per questo - sottolinea ancora Mannelli, che, nel territorio del Nobile di Montepulciano in Toscana, ha compiuto una scelta determinata in una realtà produttiva medio/piccola - sono stati questi numeri ad impormi una visione d’impresa diversa, perché ho capito che può cambiare le cose, imprimere un’influenza decisa”.

Ma abbracciare con convinzione la sostenibilità funziona per tutte le cantine?
La questione della sostenibilità (declinata necessariamente nei suoi elementi ambientale, sociale ed economico, solo le tre condizioni prese assieme partecipano definiscono il benessere e il progresso) è ormai da tempo al centro dei progetti enologici di molte cantine italiane. Un tema di cui si è detto molto ma che per adesso ha generato obbiettivi operativi ancora limitati come l’aumento della produzione biologica certificata, un tema che avrebbe bisogno di una ulteriore analisi e che Helmuth Köcher, ideatore del Merano WineFestival e di Wine&Siena, ha toccato nel suo intervento sottolineando che “i regolamenti europei sulle certificazioni hanno delle maglie troppo larghe e invece dovrebbero essere più rigidi”.
“La sostenibilità come fattore d’innalzamento della competitività delle aziende viticole appare ormai un punto fermo - spiega Angelo Riccaboni, professore Dipartimento Studi Aziendali e Giuridici dell’Università di Siena - prima di tutto perché detta le linee guida di “Agenda 2030” (programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’Onu, ndr) e poi perché ricade sul Food System che nel mondo impiega il 40% della forza lavoro e sviluppa, per esempio nel nostro Paese, il 13,4% del Pil nazionale con una crescita tra 2014 e 2015 del 3,8%, molto più della crescita generale del prodotto interno lordo tricolore. Per questo 250 “Head of Company” americani hanno scritto una lettera al nuovo Presidente Usa Donald Trump, perché non torni indietro su “Agenda 2030”. Un fatto che forse non è andato sulle prime pagine dei giornali - sottolinea Riccaboni - ma che certo è molto significativo”.
Se la sostenibilità ambientale è considerata una prerogativa essenziale per garantire la stabilità di un ecosistema, cioè la capacità di mantenere nel futuro i processi ecologici che avvengono al suo interno, quella sociale è un equilibrio fra il soddisfacimento delle esigenze presenti senza compromettere la possibilità delle future generazioni di sopperire alle proprie e la sostenibilità economica è la possibilità futura che un processo economico “duri” nel tempo, allora “essere sostenibili si deve, si può e conviene - aggiunge Riccaboni - ma nella realtà evidentemente esistono ancora delle resistenze, specialmente sul piano organizzativo e manageriale dove la sostenibilità pone almeno tre svantaggi: una complessità documentale, aggravi organizzativi e un aumento dei costi aziendali. Bisogna per questo che la leadership aziendale inserisca la sostenibilità nelle strategie di business, costruisca - conclude il docente dell’Università di Siena - nuovi modelli di business e di strumenti gestionali”.
Ed è proprio sul piano dell’innovazione che la sfida si fa più complicata in un Paese come l’Italia, notoriamente refrattario a questa essenziale attività. “La fotografia della sostenibilità nel comparto vitivinicolo italiano è come quella di un treno in corsa - afferma Lorenzo Zanni, professore del Dipartimento Studi Aziendali e Giuridici dell’Università di Siena - abbiamo cercato di fissare il suo impatto sul business con una ricerca che abbiamo svolto nel 2013 e di nuovo nel 2015, cogliendo un fatto importante: tutti i produttori interpellati, oltre 350, concordano nel ritenere l’investimento nella sostenibilità ambientale il più importante (indice rilevato 3,8 su scala da 1 a 5). Un modello di sostenibilità che considera quindi il territorio assoluto protagonista, decisamente diverso da quelli proposti da Australia o Usa, tanto per fare due esempi. Il concetto di sostenibilità nel mondo del vino italiano è ben radicato e si investe in questa nuova opportunità. Più debole, invece, l’investimento in ricerca e innovazione, a partire da internet poco implementato. Copenaghen è oggi il punto di riferimento dell’alta ristorazione. Un accostamento, che credo non sia immediato per nessuno, eppure i ristoranti più innovativi sono quelli della capitale della Danimarca, grazie all’uso in cucina di muschi e licheni - conclude Zanni - testati nelle loro caratteristiche alimentari dall’Università della capitale della Danimarca”.
“In effetti, quello che sembra mancare di più è una strategia collaborativa del comparto viticolo che includa l’Università - sottolinea il Professore Roberto di Pietra del Dipartimento Studi Aziendali e Giuridici dell’Università di Siena - Eppure il comparto è in saluta e sta crescendo nonostante le condizioni economiche difficili. Bisogna investire di più sull’innovazione ed in questo senso la sostenibilità è un investimento innovativo. Il vino porta con sé un’antica vocazione a questo concetto data da quello di “terroir” (che definisce l’interazione tra più fattori, come tipo di terreno, geomorfologia, clima, vitigni, viticoltori e consumatori del prodotto ...). In Italia non mancano i progetti di sviluppo della sostenibilità nel mondo del vino - conclude di Pietra - sono 15 a vario livello, ma forse creano una certa dispersione delle forze”.
E di sostenibilità, forse, il mondo del vino dovrebbe “usarla” molta. In Europa il vino occupa il 5% della superficie coltivata ma consuma il 50% dei fitofarmaci sversati complessivamente. Siamo dunque nella fase storica in cui dal business della sostenibilità si passi alla sostenibilità del business. Un messaggio che, detto di passaggio, non poteva non venire dalla città che conserva l’affresco degli “Effetti del Buon Governo” del grande artista Ambrogio Lorenzetti (1338-1339).

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