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Il made in Italy è un valore globale, riconosciuto dagli Usa al Giappone e, giocando sull’“economia delle emozioni”, può valere 35 miliardi di euro di fatturato in più ogni anno. Così la ricerca Censis per Ornellaia sull’“essenza del made in Itay”

Il made in Italy è un valore assoluto, globale, riconosciuto dagli Usa al Giappone, e percepito come qualcosa di bello, sofisticato, curato, che accomuna tante produzioni italiane, dal vino al cibo, ovviamente, passando per moda, meccanica, design. E che rappresenta un grande potenziale, anche economico, per l’Italia, visto che, secondo una rilevazione di Fondazione Alta Gamma e Censis, nei prossimi 5 anni si affacceranno sulla scena dei consumi di beni di lusso altri 80-90 milioni di consumatori da tutto il mondo, che per le aziende italiane che fanno qualità, potrebbero voler dire 30-35 miliardi di euro di fatturato in più ogni anno. A patto di intercettare questi nuovi consumatori, che sono giovani e di Paesi non tradizionali per questo mercato, e quindi hanno meno interesse e meno percezione dell’Italia rispetto alle generazioni passate, attraverso le emozioni che il made in Italy sa suscitare, investendo in una sorta di “pedagogia delle emozioni”. Anche perché, per loro, rispetto ai predecessori, il fattore “emozionale” vale, nel complesso, un 15% in più. È il messaggio emerso dalla ricerca del Censis voluta da Ornellaia, sull’“Essenza del Made in Italy”, presenta da Giulio De Rita, oggi a Milano.

Ricerca che è partita da alcune “semplici” domande: qual è l’anima del “fare italiano”? Di cosa è fatto, qual è la sua essenza, quali sono gli elementi che lo contraddistinguono e soprattutto in che modo devono essere dosati perché ne esca un perfetto “made in Italy”? “Chi si emoziona di più pensando all’Italia”?

E dalle risposte di “osservatori privilegiati”, come chef, gestori di strutture ricettive, direttori di musei e così via, sono emerse conferme e curiosità. Per esempio, emerge una mappa delle emozioni anche sul piano geografico: i nordamericani sono quelli che si emozionano di più pensando e vivendo l’Italia, seguiti dai tedeschi, i quali forse per la musica e l’arte, forse per via del romanticismo tedesco o forse semplicemente per il sole, guardano sempre con affetto al nostro Paese; al terzo posto ci sono i Giapponesi, i quali mostrano maggiori affinità con il nostro Paese di quel che si potrebbe immaginare di primo acchito. Un po’ sorprendentemente al 4° posto troviamo gli slavi occidentali, vale a dire polacchi, cechi e slovacchi e infine i Francesi, i quali forse amano più l’Italia di quel che immaginiamo.

D’altronde secondo la classifica mondiale della reputazione stilata dal “Country RepTrak” (che ci pone alla posizione n. 12 nel Mondo) l’Italia è il Paese con la maggior differenza tra l’opinione esterna e quella interna: in una scala da 1 a 10 la nostra reputazione esterna è 7,1 mentre internamente ci diamo un voto pari a 5,7. Agli antipodi c’è la Russia, che ha un’immagine di sé pari ad 8 e un giudizio dall’esterno pari a 4. Il fattore principale che si evince, è che il “made in Italy” ha tutte le caratteristiche per diventare una vera e propria palestra per le emozioni: la nostra creatività può insegnare ad emozionarsi, con autenticità, profondità e nella direzione di una crescita personale, non solo di un’emozione effimera.

Tre sono i punti cardine che emergono prepotentemente dalla ricerca del Censis. Innanzitutto il nostro “stile di vita”, perché molti stranieri hanno elevato a modello quel modo di vivere squisitamente caratteristico degli italiani. Poi troviamo le “emozioni” tipicamente italiane, che ogni visitatore del Belpaese pregusta ancora prima di essere giunto in Italia. Infine, il terzo imprescindibile aspetto è il “prodotto italiano vero e proprio”, ovvero la fisicità concreta di un’idea, di un sogno, di un saper fare tutto made in Italy.

Per quanto concerne lo stile di vita italiano, il concetto con la maggior rilevanza secondo gli intervistati è la ricercatezza (42%), che si esprime nella volontà di distinguersi sempre dalla massa, con attenzione ai particolari e all’originalità. Al secondo posto, con il 38% delle risposte, si trova invece la capacità di saper riconoscere la bellezza, all’occorrenza essendo capaci di crearla. A sorpresa, è solamente in terza posizione la gioia (12%), seguita dalla lentezza (9%), ovvero il rifiuto della vita frenetica in nome di un ritmo di vita più lento e naturale.

Se si parla poi delle emozioni di vivere un’esperienza, deve essere innanzitutto di tipo sensoriale, collegata a gusto, tatto, olfatto e udito: l’emozione ideale infatti è fatta al 45% di sensazioni fisiche. Un altro tratto fondamentale (per il 25%) è quello formativo, di carattere culturale. Il 21% è invece dedito alla partecipazione, alla voglia di comunicare con gli italiani per sentirsi parte del luogo. Poco spazio infine alla rappresentazione di sé (9%), parrebbe sintomo del fatto che il turista straniero non sente il bisogno di raccontarsi.

Venendo infine al prodotto italiano e alle caratteristiche che esso deve possedere, secondo gli stranieri quella fondamentale è la qualità (30%), intesa come il lavoro ben fatto. La bellezza ha quasi lo stesso peso (29%), sebbene l’aspetto estetico abbia perso peso negli ultimi anni, a vantaggio della qualità. L’autenticità del prodotto conta per il 22%; mentre pesa forse meno del previsto la forza evocativa (18%).

Aspetti di cui tener conto, perché “la qualità delle emozioni è un’arma in più per contrastare la crisi. Inoltre, aspetto non del tutto trascurabile - spiega il Censis - l’“economia delle emozioni” può essere anche un vero e proprio “turbo” per incrementare il fatturato di tutte quelle aziende che esportano il made in Italy nel mondo. Come detto, emerge che, se ben governata, “l’incidenza delle emozioni” può arrivare addirittura ad oltre il +15%, mettendo le ali al normale fatturato aziendale. Dato che i consumi mondiali 2015 dei prodotti e servizi di lusso è stimato da Fondazione Altagamma superiore ai 1.000 miliardi di Euro, l’“economia delle emozioni” potrebbe spingerli addirittura ad oltre 1.150 miliardi di euro. E, a fronte di un Export pari a 132 miliardi di Euro, un investimento sulle emozioni potrebbe farlo crescere sino a oltre 150 miliardi di Euro (stime su dati Censis e Istat)”.

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