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VINO E INVESTIMENTI

Merger & acquisition nel “Vigneto Italia”. A WineNews lo stato dell’arte con Lorenzo Tersi

L’esperto: “fenomeno irreversibile. Oltre ai territori “classici”, attenzione su Marche, Puglia, Abruzzo e Sardegna. E presto arriveranno i cinesi”
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Merger & acquisition nel “Vigneto Italia”. A WineNews Lo stato dell’arte con Lorenzo Tersi

Dopo un 2017 decisamente vivace per acquisizioni e compravendite di aziende e vigneti, anche questa prima parte del 2018 non ha lesinato notizie in questo senso, sia a livello italiano che internazionale. Da Cecchi che ha acquisito 6 ettari di vigneti (di cui tre a Brunello) a Montalcino, a Farinetti che ha messo radici nel Chianti Classico (con l’acquisizione del Colombaio di Cencio attraverso Fontanafredda) e sull’Etna (con Villa dei Baroni, in joint venture con Tornatore), da “Mr Monfortino” Roberto Conterno che ha comprato Nervi, cantina storica del Gattinara, alla Poderi Einaudi che ha acquisito 1,5 ettari nel cru Monvigliero di Barolo, da Rivetto che ha acquisito 6 ettari a Barbaresco nei cru Montersino e Meruzzano, ad Antinori che ha acquistato la Tenuta Farneta (100 ettari vitati) in terra di Siena, a Sinalunga, nella zona del Chianti Colli Senesi. Senza dimenticare l’ingresso nel capitale (al 22,5%) dell’azienda veneta Botter del fondo IDeA Taste of Italy del gruppo De Agostini, per restare in Italia, o le operazioni che hanno portato nomi di primo piano della spumantistica spagnola, come Freixenet e Cordonìu, rispettivamente nell’orbita del gruppo tedesco Henkell e del fondo americano Carlyle Group.
Solo alcuni casi, che testimoniano ancora una volta come il fenomeno del “merger & acquisition” nel mondo del vino sia ormai inarrestabile. “È un biglietto di andata senza ritorno - commenta a WineNews Lorenzo Tersi, tra i massimi esperti della materia e fondatore della LT Wine & Food Advisory - il mondo ha voglia di vino italiano, le nostre cantine hanno una propensione all’internazionalizzazione del mercato, per cui è doveroso nei portafogli aziendali e nelle politiche aziendali, guardarsi attorno ed interpretare la crescita con iniziative per aumentare la varietà dell’offerta o per aumentare la massa critica. È uno scenario in continua evoluzione. Come abbiamo visto un fondo di private equity è entrato in una bellissima azienda che è quella della famiglia Botter, oggi ci sono dossier sul tavolo di banche europee ed internazionale che riguardano anche grandi aziende italiane che probabilmente si concretizzeranno già in questo esercizio 2018. E c’è interesse non solo per quei territori che hanno già un grande mercato internazionale, come Barolo, Barbaresco, Montalcino, la Valpolicella e anche Bolgheri. Si cerca una crescita qualitativa in un’Italia che deve tenere conto delle richieste dei mercati esteri”.
Aggregazione, crescita dimensionale e apertura dei capitali, dunque sono sempre più importanti per lo sviluppo delle aziende italiane, e tanti sono i territori possibili su cui investire.
“In particolare, per indicarne qualcuna che sarà protagonista nel prossimo futuro, al di là dei grandi classici, possiamo citare le Marche del Verdicchio, sia di Jesi che di Matelica, indiscutibile dal punto di vista della qualità, capace di esprimere vini bianchi di grande profondità e longevità, ma ancora territorio sottovalutato. Ci sarà ancora il Lugana (dove nel 2017, tra gli altri, hanno investito nomi come Allegrini e Santa Margherita, ndr) che è già posizionato su un segmento premium nel mondo, e poi si parla molto del territorio del Montepulciano d’Abruzzo, espressione di un vitigno molto “plastico”, che si presta tanto per vini quotidiani che per vini da invecchiamento. E poi c’è una grande domanda e attenzione su una Regione che sta crescendo tanto anche a vocazione turistica come la Puglia, tra la Murgia, Castel del Monte e la parte più a Sud, ancora da valorizzare, come anche la Sardegna, dove hanno già investito nomi importanti (come Terra Moretti e ancora Santa Margherita, ndr), e che ha un brand a forte vocazione internazionale”.

Tra le tendenze che si segnalano, il fatto che molti investitori cercano sempre più spesso terreni che proprietà immobiliari. “Diciamo che ci sono modelli diversi. Da una parte c’è ancora un modello di crescita organica, prendiamo ad esempio Frescobaldi per citare un caso, che reinveste ogni anno i terreni adiacenti a quelli che ha già di proprietà, o quello che ha fatto Antinori negli anni, diversificando in più territori e Regioni. Dall’altra parte ci sono a volte patrimoni immobiliari che richiederebbero investimenti forti e più di “real estate” che di “wine industry”, e quindi talvolta si prediligono aziende che hanno meno immobili ma più terreni e vigneti per produrre vino”.
Terreni e vigneti che, in certe zone top, hanno raggiunto quotazioni stellari, anche superiori al milioni e mezzo di euro ad ettaro nei cru più prestigiosi di Barolo, per esempio, o del Cartizze, vertice del Prosecco Docg. “Vanno fatti i complimenti ha chi ha saputo valorizzare questi territori, facendo sostenibilità vera, e con investimenti che hanno un ritorno reale dal mercato. Vale per Barolo, per dirne uno, come per Bolgheri, altro territorio magico, dove ci sono imprenditori colti e determinati. C’è da sottolineare che il ritorno sugli investimenti (il Roi) del vino è mediamente del 7%, ma in alcune delle Regioni e dei territori che abbiamo citato si arriva al 10%, e sono valori che gli investitori e gli imprenditori guardano, sono esempi che porteranno sempre più persone a credere del vigneto Italia”.
Vigneto Italia sul quale hanno investito capitali ed imprenditori stranieri da ogni dove, dagli Stati Uniti al Sudamerica, soprattutto. A guardar bene, i “grandi assenti” sono i cinesi, che negli anni hanno investito moltissimo in Francia, in particolare a Bordeaux, ma anche in Australia e in California. “I capitali cinesi arriveranno anche da noi - conclude Tersi - e spenderanno anche molto, dobbiamo aspettarcelo. Investiranno in cose che costano molto, non solo in aziende vocate alla produzione, ma anche con opportunità turistiche e di real estate, puntando su quello che si definisce il “trophy asset”. Perché il cinese vuole un trofeo. E si parlerà di affari da oltre 30 milioni di euro”.

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