“Sono convinto che i migliori vignaioli siano gli italiani migliori, sono i santi produttori, i custodi del territorio, in un paese che possiede il più vasto e variegato patrimonio di vitigni del pianeta. E dunque non mi riferisco certo a chi coltiva le quattro o cinque varietà del commercio internazionale, Cabernet, Chardonnay e via ronfando. Sono comunque tanti, gli eroi della diversità ampelografica e vorrei dire della diversità culturale, e sono ovunque: non soltanto in ogni regione, com’è ovvio, ma quasi in ogni provincia o forse proprio in tutte le province. Se non ho ancora trovato un vignaiolo ammirevole in provincia di Lodi o di Cremona è solo per colpa mia: ammetto di non essere onnisciente”. Parole, a WineNews, di Camillo Langone, giornalista e scrittore, dal 21 febbraio in libreria con “Dei miei vini estremi. Un ebbro viaggio in Italia” (Marsilio Editori, pp .128, prezzo di copertina 15,00 euro), un viaggio, a 50 anni da quelli di Mario Soldati e Paolo Monelli, alla ricerca dei territori e dei miracoli naturali, della bellezza, della grazia e della sincertià del vino italiano, fatto di storie di donne e uomini dietro piccole e grandi imprese enologiche, territori, etichette più o meno famose, ma sempre irregolari, eccentriche, talvolta irriverenti - proprio come l’autore - e che ne fanno la più umana e struggente delle culture, contro l’appiattimento del gusto, la retorica stantia, le false promesse, i miti farlocchi del made in Italy e del prodotto naturale.
“A casa propria, e peggio ancora nei ristoranti, i vini perdono sapore - è il pensiero della firma de “Il Foglio” e “Il Giornale” - i vini, almeno la prima volta, andrebbero bevuti se non proprio presso l’azienda produttrice, in zona di produzione, vicini alle vigne, dentro un paesaggio, una storia, una gastronomia. Privato del suo territorio il vino rischia di ridursi a fredda scheda organolettica, a foto scattata da un wine instragrammer a caccia di sponsor. Dunque, sebbene pigro anzi accidioso, mi sono dovuto muovere”.
C’è bisogno di più sincerità oggi nel mondo del vino? “Sincerità non è parola che mi faccia impazzire, un po’ come onestà - risponde Langone - una parola che mi piace molto è peculiarità. Mi piace definirmi un peculiarista, ossia una persona che privilegia la singolarità e che in ogni vino, in ogni vigneto e in ogni vignaiolo cerca ciò che non può trovare altrove, il quid capace di rendere indispensabile quel determinato vino, vigneto, vignaiolo. È certamente molto probabile che il produttore di un vino peculiare, singolare, non sia un disonesto. Ma non è questo il punto”.
Allora, quale è? “Non sono un degustatore, sono un bevitore. Io non sputo il vino, non l’ho mai fatto e spero di non farlo mai, considero la sputacchiera una dissacrazione - sottolinea l’autore a WineNews - dunque, fatalmente, a fine serata non sono sobrio come all’inizio. Ma così facendo ho rispettato il vino e ne ho ricavato piacere. Disprezzo chi compra bottiglie per ragioni di status, per vantarsi con gli amici, per ubriacarsi alla vista di etichette famose: io sono un edonista, i nomi per me non significano niente se poi dietro l’etichetta c’è un vino che non si riesce a bere”.
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