Via mare, nell’arco della sua lunga storia, il vino ha percorso rotte e scoperto nuovi mercati, via mare la vite si è spostata dalla prima terra di domesticazione, il Caucaso, alla Grecia Antica, e da lì, ancora via mare, alla Magna Grecia, e quindi al Sud Italia, fino a risalire, come coltura e come cultura, la Penisola ed arrivare a conquistare l’intero bacino del Mediterraneo, dalla Francia alla Spagna. In epoca recente, infine, i vini di Bordeaux, della Champagne, di Porto, di Marsala, hanno preso, ancora una volta, la via del mare per arrivare in Gran Bretagna, per secoli cuore commerciale del mondo enoico. Oggi, dalla Penisola si affacciano sul “Mare Nostrum” decine di denominazioni che, come emerge dal convegno “Vino da mare”, organizzato a Fano dall’Istituto Marchigiano di Tutela Vini (Imt), tracciato dal responsabile di Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini, sono quelle che registrano le migliori performance.
Secondo l’analisi, presentata nei 50 anni della Doc Bianchello del Metauro, il 31% delle 408 Dop della Penisola, pari al 19% dei volumi complessivi prodotti, vanta areali con sbocco sul mare, ossia, spiega Pantini, “con almeno un Comune di produzione sulla costa”, con Marche, Liguria, Sardegna, Sicilia, Calabria, Puglia, Molise e Abruzzo che presentano una percentuale “marittima” delle loro denominazioni di oltre il 75%. Un’incidenza singolare tra i principali Paesi produttori, destinata a crescere se si tiene in considerazione che - fatta eccezione per il Prosecco, che comunque in piccola parte si affaccia sulla costa - in Italia la produzione di vini “marittimi” è cresciuta negli ultimi anni del 45%, a fronte di un +13% degli altri vini. In questo scenario, anche il mercato sembra assecondare la tendenza: tra le 7 Regioni italiane cresciute nell’export di oltre il 90% nell’ultimo decennio, ben 4 presentano una forte incidenza di vigneti “marittimi”: Sicilia, Puglia, Abruzzo e soprattutto Marche, dove su 44 milioni di bottiglie Dop ben 36 milioni sono “marittime” .
“Una componente importante per le esportazioni è data dal turismo - ha detto il direttore Imt, Alberto Mazzoni - è evidente che un bacino di turisti stranieri possa rappresentare una leva fondamentale per la promozione delle produzioni autoctone. È appunto il caso del Bianchello del Metauro e di altre aree marchigiane, a forte concentrazione di turismo balneare. Senza però dimenticare mai il nostro profilo agricolo, specie nell’entroterra, messo in ginocchio dal terremoto del 2016. Il turismo di oggi - ricorda Mazzoni - non è stanziale, il turista passa qualche giorno al mare e poi visita le città d’arte e l’entroterra, sempre più attratto dalle produzione enogastronomiche. Il vino, in questo senso, gioca un ruolo fondamentale: negli ultimi 20 anni, i vini bianchi che hanno guidato la crescita sono i due Verdicchio, il Bianchello ed il Pecorino, ossia le produzioni legate maggiormente al territorio ed alla loro cultura e storia”. Ma non solo, perché guardando fuori dai confini regionali e nazionali, anche grazie al Bianchello del Metauro, la provincia di Pesaro ha registrato nel decennio una crescita nelle esportazioni di vino di oltre il 370%, con Germania, Cina e Usa come principali destinazioni.
Focus I 50 anni del Bianchello del Metauro
Celebra 50 anni dall’approvazione del disciplinare, ma in realtà vanta oltre 2 millenni di storia (2.226 anni) e anche gesta gloriose. Il Bianchello del Metauro, autoctono bianco delle Marche e prima Doc ad essere approvata nella provincia di Pesaro Urbino (1969), è da sempre conosciuto per piacevolezza e bevibilità. Doti queste, che pare lo abbiano reso il vero alleato di Roma contro le truppe cartaginesi e galliche nella storica battaglia del Metauro (207 a.C.). Stando infatti a quanto scritto da Polibio nel libro XI de “Le Storie” (capitolo I, paragrafi 2-7), alla vigilia dello scontro parte delle truppe avversarie guidate da Asdrubale si sarebbero ubriacate, consegnando la vittoria nelle mani di Gaio Claudio Nerone e delle sue legioni.
Ma il territorio del Bianchello era famoso per i suoi vini anche nel Rinascimento. Tracce della sua fama si trovano nelle parole di Sante Lancerio, storico, geografo e “bottigliere” di Papa Paolo III (1534-1559), che parla di Fano come città di “buon vino e belle donne”. E anche Andrea Bacci, medico personale di Papa Sisto V e professore di Botanica all’Università di Roma, nel suo “De naturali vinorum historia” (1596) riconosce la specificità dei vitigni coltivati nella zona di Urbino e fa riferimento ai “vini di alta qualità” assaggiati nelle campagne del Nord delle Marche.
Oggi la denominazione è tutelata dall’Istituto marchigiano di tutela vini (Imt) e si estende lungo il basso e medio corso del fiume Metauro, dove i vigneti della denominazione si distribuiscono tra i comuni di Fano, Cartoceto, Saltara, Serrungarina, Montefelcino, Isola del Piano, Fossombrone, S. Ippolito, Montemaggiore, S. Giorgio, Piagge, S. Costanzo, Orciano, Barchi, Fratterosa, l’isola amministrativa “Cavallara” del comune di Mondavio e parte dei territori comunali di Urbino e di Fermignano. Una realtà di dimensioni contenute (200 ha) ma che negli anni ha saputo evolversi, passando dall’immagine di vino semplice e di grande bevibilità a un prodotto di maggiore personalità e longevità.
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