Metti due aziende, che portano entrambe alta la bandiera dei vini della Valpolicella, ma diverse per dimensioni e filosofia, aggiungi alcune loro prestigiose etichette servite a cena e ottieni un confronto che parte dall’interpretazione enologica per arrivare al governo delle denominazioni. Il risultato è che si può trovare un punto di sintesi, un “compromesso virtuoso”, pur partendo da posizione talvolta agli antipodi, cercando un “bene comune” che, poi, diventa proficuo anche per i singoli. Da una parte Masi Agricola, azienda storica della Valpolicella Classica, gruppo vitivinicolo tra i leader nazionali (65 milioni di euro di fatturato per oltre 12 milioni di bottiglie di cui una buona parte di vini delle denominazioni della Valpolicella). Dall’altra Romano Dal Forno, azienda fondata negli anni 80 in Val d’Illasi, una delle valli ad est di Verona a lungo considerate meno vocate, che di bottiglie ne fa 50.000 più o meno divise tra Valpolicella Superiore e Amarone, e poche di Recioto, nelle annate che lo meritano.
La sfida scherzosa, organizzata da Enrico Fiorini, autore della Guida ai vini di Verona-Top 100 con Gianluca Boninsegna e Marco Scandogliero, è stata carburata da parole e vini di rango. Nell’ordine le etichette di Masi e Dal Forno: Valpolicella Monte Piazzo 2015 e Monte Lodoletta 2011; Amarone Mazzano 2009 e Dal Forno 2010; Recioto Amandorlato Mezzanella 2013 e 1969, Vigne Seré 2003 e Dal Forno 1988.
“Mio padre Romano è stato un convinto promotore della Valpolicella “allargata” - ha ricordato Marco Dal Forno - eravamo “figli di in Dio minore” e per distinguerci abbiamo puntato sulla riconoscibilità dei nostri vini estremizzando frutto e concentrazione, senza avere la pretesa di piacere a tutti. Oggi dovremmo superare le contrapposizioni e imparare a comunicare come territorio unico senza contrapposizioni tra produttori”. E non solo geograficamente.
“Pur a fronte di differenze di stile nei vini - ha osservato Sandro Boscaini, presidente di Masi Agricola - credo sia fondamentale che l’impronta del territorio sia riconoscibile. Obiettivo che noi perseguiamo. Ammiro i vini di Dal Forno, che è un artista nel trasformare la materia prima in qualcosa di eccezionale. La piramide qualitativa dei vini Valpolicella è bellissima (ndr: al vertice Recioto e Amarone e poi a scendere Ripasso e Valpolicella) e dà spazio alla diversificazione del portafoglio di vini, ma provenendo i vini dalle uve dello stesso vigneto inevitabilmente la qualità di quelli di base ne risente. È un sistema che massifica la qualità e non la esalta. Diverso potrebbe essere se i diversi vini derivassero da vigneti distinti per vocazionalità: giacitura ed esposizioni”.
“La Valpolicella nel mondo è “solo” Amarone - ha commentato Dal Forno a questo proposito - perché la qualità del Valpolicella spesso non è all’altezza. Sui mercati ci sono tanti vini rossi con buon rapporto qualità/prezzo e altri stanno crescendo in qualità. Ora c’è da capire il reale potenziale del Valpolicella e da fare sistema perché il mondo non sente la mancanza di un altro vino rosso”.
Al di là di mode e cambiamenti del gusto, è indiscutibile che la qualità sia fondamentale per il successo di un vino e nel caso dell’Amarone lo è stata. “L’Amarone moderno non ha molto a che vedere con quello di un tempo - ha proseguito Boscaini. È molto migliorato raggiungendo livelli qualitativi elevati ed è di per sé un vino costoso da produrre che non dovrebbe essere svenduto. La qualità non si fa per legge giocando sulle quantità delle uve da mettere a riposo. Siamo stati fortunati ad avere questo grande successo, ma forse non eravamo pronti. L’equilibrio è instabile, i brand potranno resistere nuotando controcorrente perché i valori ci sono ed emergeranno comunque, ma si rischia”.
Valori che sono quelli di un marchio collettivo che ha dato all’area un impulso che ha pochi eguali. Si può immaginare oggi una evoluzione nel tessuto produttivo simile a quella che ha generato i Super Tuscan? “Mio padre ha speso la sua vita per valorizzare la Valpolicella - ha risposto a WineNews Marco Dal Forno - e non saremo certo noi a tradire la denominazione. Dovremmo metterci attorno a un tavolo a discutere e non uscire prima di aver risolto”. “Noi in confronto al caso toscano - ha concordato Boscaini - abbiamo molti più motivi per riconoscerci nel territorio. Dobbiamo cercare di mantenere con le unghie e con i denti la denominazione che è anche un patrimonio storico familiare. Per il futuro deve guidarci il perseguimento della qualità”. Un denominatore comune attorno al quale riequilibrare il peso in termini di voto tra aziende private e cooperative.
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