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VINO E TERRITORI

Ais, il sommelier sempre più a centro dell’enoturismo, attraverso la formazione

Nel Congresso dei Sommelier Ais, l’evoluzione di una figura centrale per la cultura del vino italiano
AIS, ENOTURISMO, SOMMELIER, vino, Italia
Enoturismo, il sommelier come “accompagnatore” degli appassionati nei territori del vino

Come l’Associazione Italiana Sommelier (Ais), la figura del sommelier negli anni si è evoluta, e oggi alle competenze di degustazione e di abbinamento tra il vino e il cibo affianca quelle sulla provenienza geografica del prodotto e quindi della valorizzazione del territorio. Vino, territorio, cultura e sapori rappresentano opportunità importanti per il turismo enogastronomico italiano e Ais ne è consapevole tanto da aver dedicato il Congresso - a Verona, nei giorni scorsi - a questo argomento ed al come “trasformare il terroir in destinazione turistica”.
“Quando l’Ais è nata era al passo con i tempi - ha sottolineato Antonello Maietta, che ne è il presidente - e negli ultimi 10 anni i tempi li precorre. Riusciamo ad anticipare le tendenze perché abbiamo la sensibilità di ascoltare e una presenza capillare sul territorio. Ci siamo accorti 15 anni fa del nostro successo quando Antonio Albanese ha fatto la parodia del sommelier, peraltro con il nostro avallo. Da allora il ruolo del sommelier è diventato anche quello di ambasciatore del territorio in tutte le occasioni, anche se forse questo nome non descrive il complesso di funzioni che possiamo ricoprire. Contiamo su 45.000 diplomati Ais, molti dei quali “non professionisti”, ma che al pari di quanti lavorano nel settore sono amplificatori della cultura del vino e dei terroir. Nel prossimo futuro inseriremo nella nostra formazione elementi che rafforzino questa competenza”.
Una cultura, quella enoica, decisamente vasta e tutta da valorizzare. “La ricchezza e la varietà del sistema vitivinicolo italiano è incredibile e poco conosciuta nella sua ampiezza - ha sottolineato Giovanni Mantovani, dg Veronafiere - e farla conoscere è una sfida che noi come in Vinitaly stiamo facendo. La concorrenza sui mercati internazionali non è più “naturalmente” favorevole per il vino italiano. Molti Paesi si affacciano sui mercati con capacità di rappresentare la loro cultura con efficacia e noi dobbiamo rinnovare il nostro modo di presentarci, pena il rischio che la nostra appartenenza ai Paesi produttori del Vecchio Mondo diventi un handicap”.
“L’abbondanza di diversità italiana - ha suggerito Alessandro Sensidoni, professore ordinario di neuroscienze all’Università di Udine - è dovuta a una cultura millenaria, ma abbiamo soltanto 100 anni di storia come Paese. La sfida è riuscire a parlare di vino senza citarlo, offrendo emozioni. Le emozioni, comprese quelle della degustazione del vino, arrivano al lobo sinistro del cervello e siccome si impara quando si fa un’esperienza bisogna condurre i consumatori sui territori, tra le vigne e in cantina”.
Insomma bisogna non vendere bottiglie, ma emozioni, comunicando positivamente per imprimere lo stesso segno alle percezioni. “Il turismo ha avuto negli ultimi 10 anni una crescita esponenziale, maggiore di quella prevista ed è destinato a crescere ulteriormente frenato solo da eventi geopolitici o da catastrofi naturali - ha spiegato Stefan Marchioro, docente di Economia applicata al Turismo dell’Università di Padova e consulente della Regione Veneto - il turismo non riguarda solo Pil ed economia, ma è anche un fenomeno sociale portatore di pace. Abbiamo perso la nostra leadership come Paese attrattore in Europa, gli altri Paesi incalzano e noi abbiamo un grande gap da colmare. Anche il Veneto, leader nel settore in Italia, con 20 milioni di arrivi e 70 milioni di pernottamenti nel 2018, ha varato un piano strategico per il turismo. È infatti necessario innovare e diversificare l’offerta. Passare da una generica promozione delle destinazioni alla comunicazione dei contenuti. Bisogna pensare a nuovi turismi: escursionismo, cicloturismo e altri e confezionare un’offerta su misura per rispondere a specifiche domande, oltre che rinnovare le strutture ricettive. Non applichiamo in modo professionale le nuove tecnologie e questo è molto grave. Siamo più che in ritardo. Dal 2002 in Francia il 98% delle strutture di accoglienza fanno riferimento ad un’unica piattaforma e, si badi bene, non è che lì non esistano Booking e altri operatori”.
Fino a metà degli anni 70 siamo stati il primo Paese per attrazione turistica, poi abbiamo perso quota e oggi siamo al quinto posto, tra poco superati dal Messico. Eppure siamo il Paese più amato e più cliccato. Come mai?
“Gli stranieri vengono in Italia per la bellezza, la storia, la cultura, il cibo e il vino - ha risposto Mauro Santinato, presidente di Teamwork Rimini, consulente e formatore nell’area marketing e vendite per l’hotellerie - ma soprattutto vengono perché siamo un Paese ancora accogliente, perlomeno in alcune località, anche se cominciano ad esserci segnali preoccupanti. In Giappone si possono trovare robot alla reception degli alberghi e in Cina a servire nei locali. Applicazioni e programmi sostituiscono le persone e raccontano anche il vino. La capacità di relazione, il mettere al centro dell’attenzione il cliente, insomma l’accoglienza è l’esperienza stessa. Se non vieni accolto bene non torni più. Purtroppo i giovani non si avvicinano più a questo settore. Le parole d’ordine nel futuro per quanto riguarda anche l’Ais sono professionalità e marketing”.
È cresciuta e cresce la domanda di vacanze attive autentiche. Il successo di Matera Città europea della cultura 2019 con la sua ospitalità non replicabile lo testimonia. Cresce l’attenzione alla salute, all’attività fisica, all’ambiente, alle esperienze uniche. Nonostante la nostra ineguagliabile e variegata offerta di grande bellezza, culturale e paesaggistica, includendo il vino, non siamo all’altezza soprattutto per quanto riguarda il segmento elevato della domanda che cerca il vero lusso, quello del silenzio, dei luoghi solitari e incontaminati.
Quest’anno - ha detto Sandro Balducci, delegato Ais di Pisa - formeremo 25.000 persone, per circa 750.00 in cinquant’anni. Troppo poche per un Paese come l’Italia, ma abbiamo appena concluso un corso sui vini italiani a Pechino e stiamo lavorando in Sudamerica dove abbiamo fondato un club. L’internazionalizzazione è nelle nostre corde da molto tempo, pur nel nostro piccolo, ma sta diventando importante”.
E, quanto alla formazione, l’Ais è già partner del Master “Vini italiani e mercati mondiali” della Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Studi Universitari a cui collabora.
“Nel nostro Master universitario - ha spiegato Pietro Tonutti, che lo dirige - nato cinque anni fa, abbiamo affiancato alle 400 ore di didattica in aula, ben 450 ore di stage interagendo con l’Ais. Un’idea nuova che mette insieme teoria e pratica e che ci dà molta soddisfazione per il livello di occupazione elevatissimo raggiunto dai “masterizzati” del primo corso, pari a oltre l’86%. Sono diversi gli stage dedicati alla valorizzazione del territorio, tra cui uno degli ultimi realizzati dedicato all’esportazione del vino italiano in Cina che ha prodotto un progetto che si serve della realtà aumentata. Un percorso virtuale nei territori del vino italiano che si potrebbe proporre ai consumatori mentre degustano un vino”.
Una brillante soluzione per creare quella sinestesia tra esperienza e digitale invocata, nella sua comunicazione, da Massimo Zanichelli, giornalista, scrittore e documentarista del vino.

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