“L’inverno del vino è alle porte”: con questa previsione, alquanto catastrofica, Paul Mabray, esperto di digital trend per la wine industry, ha voluto provocare i produttori italiani a Wine2Wine, il business forum di Vinitaly. D’altra parte Mabray, negli ultimi venti anni, ha dato una spinta determinante al settore verso il digitale, con le diverse esperienze a cui ha partecipato, tant’è che è considerato un visionario.
“Il vino è molto cambiato negli ultimi anni - ha continuato Mabray - e ha molte più rappresentazioni. Si fa in Paesi in cui prima non si produceva, quindi il mercato è sempre più competitivo. La flessione del mercato statunitense, il più importante del mondo, per la prima volta in venti anni, il consumo dei millennial che si attesta su quantitativi inferiori alle generazioni precedenti, i movimenti contro il consumo di bevande alcoliche, l’avanzare della cannabis, che in Canada e Usa è boom, devono far riflettere i produttori sugli attuali canali di vendita. A breve Amazon entrerà nel mondo del vino. Dovrete vendere porta a porta? Sarebbe un modello assurdo, come se per comprare una Tesla si dovesse andare a San Jose in California! C’è una proliferazione di cantine in tutte le aree vitivinicole del mondo e di sale di degustazioni faraoniche. Le degustazioni si moltiplicano e gli appassionati che partecipano non degustano, ma bevono anche esageratamente e spendono tutto nella prima cantina in cui si sono fermati”.
Per vendere di più si possono fare vini più buoni, più sostenibili, farli strani, avere maggiori punteggi dai critici, ma secondo Mabray la strada efficace è una sola: sfruttare il potere e il potenziale degli strumenti digitali e delle relative metodologie per accompagnare questo settore nel futuro.
“Siamo passati ad una nuova era - ha spiegato - perché oggi il consumatore può controllare tutto e dire cosa gli piace. Siamo nell’“economia dell’esperienza”, che consente di valorizzare i prodotti, e della “subscription”, nel senso che sottoscriviamo autorizzazioni, abbonamenti e così via, per ricevere informazioni, per ricevere proposte. Le aziende native digitali (Digitally Native Vertical Brands - Dnvb) sono “verticali”: si tratta dei marchi nati direttamente su internet con un maniacale focus sulla customer experience”. Il cliente è al centro delle loro attenzioni, in una sorta di loop, perché torni e compri sempre di più e quando ha comprato un bene gli si propongono accessori e poi contenuti. E questo filo diretto genera controllo dei consumatori, dei consumi e dei dati. L’acquisto deve diventare esperienza a partire dalla presentazione, dal packaging, perché dal virtuale si passa al contatto fisico con il prodotto.
“In molti casi l’impulso all’acquisto è generato dallo storytelling - ha continuato Mabray - che va dallo scenario di meravigliose vacanze per vendere teli da bagno costosi ad argomentazioni ambientaliste per vendere braccialetti a 140 dollari che sottraggono plastica dagli oceani. La tecnologia aiuta i brand a crescere proprio grazie alla raccolta dei dati e poi i DNVB approdano alla vendita “reale”. Anche il vino deve entrare nel mondo del digitale in modo verticale, ma raccontandosi non tutti allo stesso modo”.
Un percorso che desta non poche perplessità e suscita domande con risposte probabilmente difficili. “Paul Mabray parla di realtà ben diverse da quella europea, come gli Stati Uniti, ma senz’altro si tratta di una tendenza che non possiamo trascurare - ha commentato ai microfoni di Winenews Cristina Ziliani della Guido Berlucchi, prima cantina produttrice per ettari vitati e fatturato in Franciacorta - non so con che tempistiche la maggior parte del mondo comprerà vino on line. Noi stiamo puntando molto sull’enoturismo, apriamo la cantina 7 giorni su 7, ci investiamo e alla luce di questo c’è da chiedersi quante persone possano arrivare da noi e da quanti Paesi. Non arrivano neppure da tutta Italia, ma solo dalle Regioni limitrofe. Quindi se vogliamo intercettare nuovi consumatori nel mondo non abbiamo che lo strumento digitale. Mi chiedo se sia più o meno costoso, perché se da una parte evita determinati passaggi, come nel caso degli Stati Uniti il sistema “Three Tiers” (che prevede la catena importatore-distributore-retailer, ndr), dall’altro il business è tutto da reinventare. Serve approfondire in particolare due temi: come combinare una distribuzione tradizionale, fatta da agenti, persone, organizzazioni, con un nuovo approccio al mondo digitale. Se le Digitally Native Vertical Brands partono con questo approccio, come si può combinare questo nel caso di un’azienda tradizionale del mondo vitivinicolo? Per citare solo una criticità, come possiamo evitare la competizione con l’attuale distribuzione che si vede portar via clientela?”. Inoltre, Mabray ha sottolineato come la complessità del vino sia difficile da comunicare nel digitale. Dunque è necessario trovare nuovi modi senza troppe “semplificazioni. Non abbiamo certo nelle mani la soluzione - ha concluso Cristina Ziliani - noi del vino siamo sempre un po’ in ritardo, soprattutto nella nostra bella e vecchia Europa. Abbiamo avuto uno stimolo, alziamo le antenne e cominciamo ad occuparcene”.
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