Un mercato, quello del vino italiano, che, come tutti, attende la fine del tunnel per ripartire. Perché la sfida, passata la tempesta legata al Covid-19, sarà quella di bruciare il più possibile le tappe affrontando con coraggio ed intraprendenza i nuovi scenari che, inevitabilmente, subiranno dei cambiamenti dopo questo terremoto che è anche economico, oltre che sanitario e sociale. Una carta valida da giocare potrebbe essere quella della Cina, seguendo la scia dei buoni rapporti costruiti nelle ultime settimane tra Roma e Pechino dopo che l’emergenza, partita dal Paese del Dragone, è piombata in Italia lasciando una cicatrice che con fatica sta provando a ricucirsi.
Sono tanti i punti in comune tra Italia e Cina da quando il mondo ha fatto conoscenza con il Coronavirus. Due strade lontane che si sono incontrate, giocoforza, in un momento difficile. Ma che magari potrebbero proseguire insieme all’insegna di un nuovo feeling commerciale e di una collaborazione in cui il vino italiano, che ha margini ancora enormi per affermarsi sul mercato orientale, potrebbe inserirsi cambiando la cartina geografica del proprio export. Ovviamente ci vuole cautela, siamo ancora all’utopia. Ma ormai è noto che la Cina per molti è il mercato del futuro e l’Italia, al momento, è tra gli inseguitori nei gusti del consumatore. Lontanissima non solo dalla solita Francia, ma anche da Paesi come Australia e Cile.
Sulle prospettive future e sulla fattibilità di una “via del vino” tra Italia e Cina,WineNews ne ha parlato con Enrico Gobino, direttore marketing di Mondodelvino, uno dei principali gruppi vitivinicoli italiani (115 milioni di euro l’ultimo fatturato del gruppo con la quota export pari all’85%) che oggi conta su 5 stabilimenti produttivi in Piemonte, Emilia-Romagna e Sicilia. Mondodelvino ha investito in Cina con l’obiettivo di aumentare la percentuale di export. Quanto è concreta la possibilità di un ponte tra Italia-Cina che possa includere anche il settore vino? “L’Italia - spiega Gobino - rappresenta oggi una percentuale minima. Solo il 6% del vino consumato in Cina è italiano. L’Australia, per ovvi confini geografici, è al 35%, la Francia al 29%, il Cile al 14%. Qui troviamo le potenzialità di crescita. A livello di gruppo, siamo in linea con la media nazionale, sommiamo il 2% in quanto ad esportazioni. Però, rispetto agli anni passati, intravediamo un buon futuro grazie anche agli investimenti che abbiamo realizzato. Come quello sul personale cinese, tanto in Italia che in Cina: ciò ci dà la possibilità di lavorare con un allineamento culturale che è importante e necessario”.
Perché il mercato cinese è un capitolo con esigenze, sviluppi e trend tutti propri. Avere strutture di proprietà in Cina e collaboratori del posto che conoscono il mercato è la strada che il gruppo Mondodelvino ha tracciato per crescere ulteriormente.
“Capire la sfaccettatura geografica e socio-economica della Cina è rilevante - prosegue Gobino - in un territorio che ha delle dimensioni straordinariamente vaste e delle organizzazioni di vendita che non sono a carattere nazionale e quindi con un importatore non riesci a coprire tutta la Cina. Ma hanno un tasso di digitalizzazione più avanzato rispetto all’Europa e all’Italia e quindi il consumo di vino tramite l’online è alto. A livello di digitalizzazione sono molto più avanti di noi, forse di 5 o 10 anni. Avere persone là che hanno polso culturale e che sanno orientare e dare le priorità è molto importante. Abbiamo creato un ponte coi colleghi cinesi per gestire al meglio le varie sfaccettature, per coprire tutte le tipologie di mercato differenti. Ci sono delle sacche di mercato molto importanti, si può lavorare con la catena di alberghi e ristoranti così come con l’importatore e l’operatore online. Interagire commercialmente in modo multicanale è quello che serve. Lo scorso anno siamo cresciuti dal punto di vista del risultato, stiamo lavorando bene”. Ci si chiede adesso che cosa succederà in futuro, se questa intensificazione dei rapporti e questo momento di vicinanza tra Italia e Cina potrebbe allargarsi, magari, anche al mondo del vino. Gobino non nasconde che le potenzialità ci sarebbero. “Da parte loro c’è sicuramente empatia per quello che è successo e ciò ci gioverà dal punto di vista della vicinanza culturale. In Cina hanno una grande voglia di ripartire: ci attendiamo perciò che ci sia un ritorno se tra 3 mesi andrà tutto bene. Ad essere realistici quest’anno abbiamo tagliato le stime del 50% sapendo che una buona percentuale dei volumi, il 30%, è saltata col Capodanno cinese. Sentendoci coi nostri colleghi, la fine del tunnel però si dovrebbe intravedere. Bisogna essere pronti a capitalizzare questa vicinanza. Gli altri Paesi, vedi Francia, sono indietro di settimane. C’è grande attenzione per i vini italiani, noi abbiamo tenute sia al Sud, come in Sicilia, ma anche in Piemonte e Romagna, l’offerta è variegata. Il cliente cinese, rispetto a 10 anni fa, è molto attratto dalle denominazioni, e, da un punto di vista organolettico, laddove ci sono delle pienezze e delle rotondità, come nei vini sud, sono elementi che vengono ricercati. Speriamo che con questa varietà di offerta si possa ripartire”.
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