Una Pasqua senza agnello italiano. Con la chiusura degli abituali canali di vendita (ristoranti, agriturismi e mercati) gli allevatori e i pastori del Belpaese trovano bloccato il loro principale sbocco commerciale, mentre la grande distribuzione privilegia l’offerta estera, che attua politiche di prezzo molto aggressive. L’import di ovini, secondo una stima di Cia-Agricoltori Italiani, è del 75%, soprattutto da Paesi come Spagna, Romania, Estonia e Grecia che non assicurano gli standard qualitativi della nostra pastorizia.
In questi giorni ci sono 350.000 agnelli da latte italiani sul mercato, dei quali 150.000 Igp “Agnello di Sardegna”, ma gli ordinativi rispetto alla Pasqua scorsa sono crollati del 50%, così come sono calati drasticamente i prezzi. Se al consumo si arriva a 14 euro al kg, al pastore un agnello viene pagato circa 2 euro al kg, con i quali non è neppure possibile coprire i costi di produzione. Nel Natale 2019 ci si attestava sui 4,5-5 euro, mentre negli anni Ottanta e Novanta un kg di agnello veniva pagato all’allevatore 7.000 lire.
“Con il crollo degli ordinativi di agnello italiano viene vanificato il lavoro di produzione di tanti mesi - spiega il presidente Cia Dino Scanavino - la pastorizia è una tipica attività delle Regioni appenniniche e delle isole e svolge una funzione ambientale di presidio del territorio, ma ha anche una valenza sociale, accreditata dall’Unesco, che ha dichiarato la transumanza patrimonio culturale immateriale dell’umanità. È necessario che il Governo metta in campo misure di sostegno per gli allevatori ovi-caprini, incentivando con sgravi fiscali la grande distribuzione a privilegiare il prodotto italiano di qualità, soprattutto nella fase di emergenza post Covid-19 che stiamo attraversando. È inoltre urgente attivare una campagna di promozione ministeriale per incentivare il consumo di agnello italiano, valutando la possibilità di finanziare misure di ammasso privato per l’eccesso di offerta”.
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