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LA RIFLESSIONE

Una Pasqua diversa. Ma che ci riavvicina al valore del cibo e del vino. Parola di Massimo Montanari

A WineNews uno dei massimi storici dell'alimentazione: “se da questa crisi riscopriamo il rispetto per la tavola e la terra, sarà bene per il futuro”
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L'Ultima Cena

Sarà una Pasqua diversa, anche a tavola. La quarantena getta un ostacolo sui nostri riti, come li abbiamo sempre conosciuti e praticati. Già, perché la cucina ha un valore simbolico che si intreccia con questa festività ma con connotazioni che si allacciano alla religione, ai costumi ed all’evoluzione della nostra società. E che adesso assumono un significato particolare non solo nel presente ma anche in ottica post Covid-19. Riflessioni, queste, che arrivano da una conversazione di WineNews con Massimo Montanari, considerato uno dei massimi storici contemporanei oltre che docente di storia medievale e dell’alimentazione all’Università di Bologna.
Ma che significato assume la tavola pasquale attraverso il racconto dei suoi piatti simbolo? “Non esiste uno standard uniforme per tutti - spiega Montanari - la Pasqua è una festa universale, nel mondo cristiano, nel mondo ebraico, nel mondo islamico e in tutte le religioni anche pre-cristiane e pre-ebraiche. Diciamo che esiste una versione naturalistica della Pasqua come festa della rinascita della natura, come festa della primavera. Poi ci sono delle declinazioni storico-religiose di questo evento legato a racconti, storie e miti. La Pasqua ebraica ricorda la fuga dall’Egitto degli ebrei che tornano nella terra promessa e da lì nascono alcuni simboli importanti che sono tra l’altro rimasti nella nostra tradizione: come quello dell’agnello, l’animale che fa compagnia agli ebrei nel deserto durante questo ritorno nella Palestina. Direi, però, che, dal punto di vista simbolico, l’elemento più comune e costitutivo dell’idea di Pasqua è l’uovo. L’uovo come segno della rinascita. Ovviamente la Pasqua cristiana celebra una rinascita diversa ma l’uovo ne diventa il simbolo alimentare. L’uovo che entra nelle tante preparazioni come le torte pasquali, l’uovo sodo, l’uovo che viene benedetto o che diventa di cioccolato nella moderna industria alimentare”.
Ma più che il contatto con il cibo, ciò di cui ci sentiremo privati è il calore umano. La tavola come emblema dell’unione familiare, del ritrovo collegiale. Montanari sottolinea questa sottrazione ma allo stesso tempo nota come le persone hanno già prodotto degli “anticorpi” a questo allontanamento fisico. “Quello che ci mancherà - dice Montanari - è soprattutto la compagnia, la convivialità. Anche se questo periodo di “domiciliazione forzata” ha in qualche modo accentuato l’idea della convivialità come sentirsi insieme, come desiderio di condividere. Abbiamo visto in queste settimane degli spettacoli culturali di persone che suonano, parlano e bevono insieme da luoghi diversi. Penso che la stessa cosa succederà per la Pasqua che, in qualche modo, è proprio l’essenza della convivialità, un aspetto che paradossalmente emerge con un’assenza delle persone ma una presenza della loro compagnia. Io trovo questo molto bello, direi che non è una distanza ma una vicinanza sociale nella distanza fisica. Una reazione commovente in questo momento che stiamo vivendo”.
Viene da pensare che come in tutti i grandi eventi epocali e le grandi crisi, qualcosa di cambiato rimarrà in tanti aspetti. Come muterà il nostro approccio filosofico, ideale ma anche pratico al vino, al cibo e all’agricoltura che poi è la base di tutte le produzioni? “Condenserei tutto questo - continua Montanari - in una parola: rispetto. Ho l’impressione che nei confronti del cibo, del vino, di tutti quelli che sono i prodotti del lavoro dell’uomo, sia stia verificando una sorta di avvicinamento affettivo, a partire dal fatto che il cibo e il vino sono elementi essenziali della vita. Una ovvietà che assume tutto il suo spessore emotivo nei momenti di difficoltà. Quando noi vediamo le lunghe file nei supermercati, sono forme anche un po’ patologiche, se vogliamo, ma che hanno un fondo importante nel desiderio di avere cibo e di stare al mondo. Anche la pratica attuale di cucinare in casa, di prepararsi il cibo, magari di misurarlo meglio per non sprecarlo e di fare bene i conti su quello che ci serve ho l’impressione che aiuti a riacquistare, nei confronti del cibo e del vino, un rapporto interattivo. L’abbondanza che abbiamo vissuto nei decenni scorsi ce le ha fatte considerare meno queste cose, le abbiamo date per scontate. Adesso invece capiamo che sono le più importanti della nostra vita e ci avviciniamo ad esse con più empatia. Io credo che da questa brutta esperienza ne usciremo con una forma maggiore di rispetto nei confronti di quello che mangiamo e di quello che beviamo. Sarà qualcosa di utile e anche di bello. Mangiare e bere sono gesti che io chiamo di relazione tra noi e qualcosa.

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