Chi ben comincia, dice un proverbio, è a metà dell’opera. Quanto mai vero in tempo di Covid per il vino italiano sui mercati del mondo, con le cantine del Belpaese che, grazie ad una partenza sprint nei primi mesi del 2020, tutto sommato, almeno nei mercati extra-Ue, hanno tenuto. Con un saldo dei primi 4 mesi dell’anno che è addirittura in crescita nei 10 mercati extraeuropei più importanti, che valgono la metà delle esportazioni enoiche italiane, soprattutto grazie a Usa e Canada. A differenza di una Francia, principale competitor del Belpaese che, invece, sta accusando in maniera più forte l’effetto della pandemia. Un segnale positivo, ma che non permette di rilassarsi ne tantomeno di cedere a toni trionfali, anche perchè mancano ancora i dati di mercati Ue importantissimo come la Germania, per esempio, da cui non ci si attendono notizie particolarmente positive.
A dirlo i dati dall’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor (a fonte dogane), che fotografano una partenza di anno divisa in due: il primo bimestre da record, il secondo da dimenticare. Con un aprile in pieno lockdown globale e tra i peggiori di sempre. Nel complesso, andando a misurare le performance a valore del periodo nei top 10 Paesi importatori (che valgono il 50% dell’export del Belpaese), l’Italia segna a sorpresa +5,1% sullo stesso periodo dell’anno precedente, grazie all’ottima prestazione negli Stati Uniti (+10,8%, per 613 milioni di euro, nei primi 2 mesi il dato era a +40%) e in Canada (+7,1%, per 116 milioni di euro). Profondo rosso invece sul vino francese (-10,1%), in ritirata nelle sue piazze chiave sia in Oriente che in Occidente.
Il crinale, già sconnesso a marzo, si fa però quasi proibitivo ad aprile, dove per i fermi imbottigliati italiani si registrano pesanti cali in tutti i mercati considerati a eccezione di Canada, Russia e Corea del Sud. Nel quarto mese dell’anno si va dal -5,2% (a valori) del Giappone al -12,5% degli Usa (dove però fanno +6,8% gli sparkling), dal -26% della Svizzera al -48% della Cina, per un deficit complessivo sullo stesso mese 2019 del -7,2%, contro però il -22,2% francese.
Nei prossimi mesi, secondo l’Osservatorio, la crisi peserà ancora su un bene voluttuario come il vino, alle prese con un minor potere di acquisto della domanda, oltre allo smaltimento dell’invenduto nella ristorazione e nei magazzini degli importatori. Senza considerare il trend della domanda Ue ad aprile, che, come detto, si preannuncia con un segno negativo più marcato.
“È un momento decisivo per il futuro del vino italiano; la crisi globale impone di fare ora scelte importanti - sottolinea il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani - che influiranno anche sul lungo periodo. Perciò Vinitaly ha moltiplicato i propri punti di osservazione e in questi mesi che precedono il Wine2Wine Exhibition&Forum di novembre condurrà sempre di più le aziende e le istituzioni in un percorso di lettura condivisa e multicanale delle dinamiche di mercato del nostro vino nel mondo”.
Ma la perdita italiana potrebbe continuare a rivelarsi più contenuta rispetto ad altri Paesi produttori: “I dati di aprile - ha detto il responsabile dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini - parlano di un mercato made in Italy che ovviamente cala ma sembra rispondere alla crisi in maniera più efficace dei propri competitor. Il mancato crollo nel mercato statunitense, complici i dazi aggiuntivi sulla Francia, la maggior presenza del prodotto tricolore nella Gdo d’oltreoceano, un miglior rapporto qualità-prezzo, assieme all’ottimo risultato in Canada, rendono meno amaro il calice italiano in tempo di Covid-19”.
Secondo l’analisi, il potenziale rimbalzo potrebbe arrivare nel medio periodo dagli Stati Uniti - già in fase di ripresa dell’occupazione - e forse anche dalla Cina, che pur uscendo per prima dalla pandemia nell’ultimo mese ha dimezzato le proprie importazioni probabilmente a causa di una forte flessione economica accentuata dal conflitto commerciale con gli Stati Uniti. Nel frattempo, in piena crisi da Covid-19 l’Italia guadagna nelle quote di mercato in quasi tutti i Paesi importatori, con incrementi consistenti in Svizzera (dal 33,1% al 37,7%) e negli Usa (dal 31,4% al 34,2%). Dove da marzo ai primi di maggio si sono impennate del 31% le vendite nell’off trade, in particolare nelle fasce medie di prezzo (11-20 dollari), segmento in cui l’Italia è molto presente e competitiva.
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