L’agroalimentare made in Italy è un settore forte, uno dei più importanti a livello di occupazione e produzione di valore aggiunto, e comparto della manifattura che, negli ultimi 10 anni, ha performato nettamente meglio della media. E ha resistito, finora, pur con grandi sacrifici, anche all’impatto della pandemia, con l’export nei primi 6 mesi 2020 che è addirittura cresciuto, nel complesso. Ma come è naturale, c’è grande preoccupazione per il futuro: il 62% delle aziende del wine & food il fatturato 2020 si chiuderà in calo. Per 38 imprese su 100 sarà un calo superiore al -15%, per 16 su 100 tra il 5% ed il 15% (anche se non manca un 20% che prevede crescita). Previsioni sostenute, purtroppo, dai dati: -9,5% ad aprile 202 (sullo stesso mese 2019), -5,8% a maggio e -1,1% sia a giugno che a luglio. La criticità più evidente, per il 37% delle imprese, sarà proprio sul mercato italiano, dove la crescita delle vendite in supermercati e negozi non ha compensato il calo forte della ristorazione, ed il cui stallo preoccupa di più dei mercati esteri, individuato come prima criticità dal 17% del campione. Nel medio termine, ovvero nei prossimi 2 anni, il 52% delle imprese prevede una riduzione del numero di ristoranti e bar attivi ed il calo del turismo gastronomico, il 43% una riduzione complessiva dei consumi fuori casa, il 41% un aumento delle vendite on line. E se solo il 31% di chi aveva preventivato investimenti nel 2020 li sosterrà comunque (soprattutto quelli per impianti e macchina e per il digitale), il 31% li ha posticipati, e il 38% li ha rimodulati, riducendo budget o rivedendo i progetti. È il quadro che emerge dal rapporto “L’industria alimentare italiana oltre il Covid19”, redatto da Nomisma per Centromarca e Ibc (Industrie Beni di Consumo), presentato oggi da Denis Pantini di Nomisma, in un webinar a cui hanno partecipato la Ministra delle Politiche Agricole Teresa Bellanova, l’eurodeputato Paolo De Castro, Francesco Mutti, presidente Centromarca e Ad Mutti, e Alessandro D’Este, presidente Ibc e Ferrero Commerciale Italia.
Tutti concordi nel dire che servono misure per contrastare un’emergenza imprevedibile, quella della pandemia, “e di cui non si conoscono i tempi di uscita”, ha ricordato la Bellanova, ma anche di un piano strategico a lungo termine, “ragionando anche in ottica europea, pensando anche ad infrastrutture fisiche, digitali e idriche su cui ci sono dei gap da colmare, e per le quali sarà fondamentale spendere bene il Recovery Fund”, ha detto De Castro, ma soprattutto, che “sia condiviso dalle forze politiche e dalla più amplia platea possibile, cosìcchè resti valido anche al cambiare dei governi e delle rappresentanze”, hanno sottolineato Mutti e D’Este.
Un settore, quello dell’agroalimentare italiano, che vive di criticità ataviche e strutturali, come ad esempio una fragilità importante dal punto di vista idrico, con intere filiere come quelle del formaggio, per esempio, che sono costantemente a rischio e che possono essere messe in ginocchio anche da un solo anno di siccità, al nanismo delle imprese: la maggior parte (86%) ha meno di 10 addetti, e basti pensare che lo 0,1% del totale, ovvero le 49 imprese che hanno un fatturato superiore a 350 milioni di euro, da sole generano il 36% del fatturato del settore, il 34% del valore aggiunto ed il 52% dell’export.
Criticità nonostante le quali, come detto, il settore è ai vertici sotto molti aspetti: dopo metalmeccanica e macchinari, è il terzo comparto di tutto il manifatturiero per valore aggiunto (11,5%), è quello che impiega più under 40 (40% vs 35% della media) e donne (35% contro il 26%), ed è quello che tra il 2008 ed il 2018 ha performato di più, crescendo del +81% nelle esportazioni, contro il 30% della manifattura, del +19% sul fronte del valore aggiunto, rispetto al +7% della media, e anche del +2% in termini di occupazione, mentre il totale dell’industria italiana ha peso il -13%. Ed è un comparto che tutto sommato, fino ad ora, ha retto sui mercati del mondo: nei primi 6 mesi 2020, secondo i dati illustrati da Denis Pantini, le esportazioni nel complesso, sono cresciute del 3,5% seppur, in tutti i mercati più importanti, perfomando ovunque meglio della media del mercato stesso, in particolar modo in Canada e Giappone, dove sono in vigore accordi di libero scambio.
Un quadro tutto sommato positivo, ma non per tutti: il vino, per esempio, storica locomotiva delle esportazioni, ha segnato, per la prima volta, un arretramento, del -4,2%. Ma altri prodotti hanno visto accelerazioni decisamente forti, come la pasta, che ha fatto +24,7% sullo stesso semestre 2019, i derivati del pomodoro (+11,8%), il caffè (+7,2%) e l’olio extravergine di oliva (+6,4%).
Ma la guardia resta ovviamente alta. “Dobbiamo costruire un progetto di rilancio e posizionamento del made in Italy agroalimentare a partire dalla forza dimostrata fino ad oggi - ha detto la Ministra Bellanova - perchè più facciamo massa critica più avremo la forza per dare risposte giuste a questo straordinario settore. Conosciamo i nostri punti di forza, ma sappiamo anche quante fragilità sono emerse. Eppure il nostro è un settore straordinario per ricadute economiche, sociali e ambientali, per la tutela del paesaggio, delle aree interne, del suolo, dell’aria e dell’acqua, del dissesto idrogeologico, per l’inclusione sociale. Ma serve lungimiranza: ora dobbiamo lavorare a misure straordinarie per una situazione straordinaria, ma serve anche strategia a lungo termine, per rafforzare sia il mercato interno che la promozione all’export, soprattutto in quei mercati che possono permettersi il lusso del prodotto made in Italy. Non un euro deve andare sprecato, anzi, ogni euro investito deve generarne almeno due. C’è il grande tema della lotta all’Italia Sounding. 44 miliardi di export contro 100 di falsi: in questa distanza c’è lo spazio che dobbiamo conquistare. In piena emergenza abbiamo messo in piedi misure per 2,5 miliardi di euro, fatto tanti interventi su fisco e decontribuzione per le imprese agricole, ma cerchiamo risorse aggiuntive, per esempio, anche oltre i 600 milioni di euro per il bonus ristorazione, che voglio sia erogato entro la fine dell’anno, perchè vogliamo dare alla filiera un aiuto importante, dal lavoratore agricolo al ristoratore”.
Il tutto, come detto, da inquadrare in un ottica europea, come ricordato da Paolo De Castro: “in questa fase sarà altresì importante prestare attenzione a quanto viene deciso a livello europeo. Nuova Pac, Green Deal, politica commerciale internazionale, sono solo alcuni dei grandi dossier in discussione a Bruxelles, dai cui esiti possono dipendere le sorti, o quantomeno lo sviluppo, di molte imprese agroalimentari italiane. A questi va aggiunta la Brexit, i cui ultimi sviluppi in seno al negoziato non sono molto rassicuranti e destano preoccupazione, considerando che si tratta del quarto mercato di export per il nostro food & beverage e che anche nei primi sei mesi di quest’anno siamo cresciuti di oltre il 4% a fronte di un aumento medio dell’intero export alimentare inferiore al 3%”.
Insomma, si tratta di navigare in mare aperto, in tempesta e con pochissime certezze. Tra queste, però, c’è il valore dell’italianità del cibo: il fatto che un prodotto fosse 100% italiano, per i consumatori, almeno in Italia, secondo i dati Nomisma, era fattore prioritario per la scelta di acquisto prima del lock down, lo è stato durante e lo sarà anche dopo.
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