L’agroalimentare italiano ha retto nel complesso all’urto della pandemia, e con un giro d’affari di 540 miliardi di euro è diventato la prima ricchezza del Paese, e nonostante tutto l’export ha toccato il record storico di 46,1 miliardi di euro (+1,9% sul 2019, dati Istat). Ma nella lunga catena dal campo alla tavola, il primo, quello della produzione della materia prima, è da anni quello che soffre di più. A dirlo anche i numeri del Rapporto Unioncamere e Movimprese sui tassi di natalità e di mortalità delle imprese, secondo cui il settore di agricoltura, silvicolutura e pesca ha visto un saldo negativo di -4.258 imprese nel 2020.
Una perdita modesta nel complesso (-0,57%), per un settore che ne conta 735.466 (il secondo per numero di imprese dopo quello del commercio, con un 1,4 milioni, e in calo dello 0,29%), ma un saldo negativo che segue quello già registrato nel 2019 (-0,99%). Spia di una sofferenza della base del settore primario, con gli effetti reali della pandemia (ma non solo) sulla tenuta delle imprese agricole che, probabilmente, si vedranno nella loro interezza soltanto nei prossimi mesi del 2021.
Discorso che vale anche per il settore delle “Attività dei servizi alloggio e ristorazione”, che è cresciuto dell’1,36% per numero di imprese, a quota 461.244, ma che da un anno intero vive una condizione di grande sofferenza economica ed incertezza tra aperture e chiusure che si alternano di settimana in settimana, e nessuna prospettiva sicura.
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