Della Toscana del Milletrecento si trovano oggi tracce rarefatte nei percorsi temporali, mutati dal tempo. Dal paesaggio al patrimonio storico culturale, l’eco dell’epoca pre-rinascimentale si perde e diventa racconto, o credenza popolare o materia di studi minori; dell’epoca delle grandi battaglie e dell’infinita guerra tra l’imperatore dei Franchi e il Papato, tra Firenze, Pisa e Siena, dei Priori e del “Governo di Popolo”, delle torri e dei giovani poeti irrequieti che volevano rivoluzionare il modo di far poesia, si sa relativamente meno, rispetto a quanto si conosce dello splendore inaugurato, poi, da Cosimo il Vecchio e perpetrato dai suoi discendenti, i Medici col Rinascimento. Oltre qualche fortificazione diffusa su tutto il territorio, oltre gli affreschi e le pievi, dell’epoca tardo medievale toscana rimangono ancora oggi vivi e sempre carichi di ispirazione due elementi che saranno presenti nella vita di chiunque sappia cogliere il bello e il costruttivo della vita. Questi “due” sono Dante Alighieri e la Vernaccia di San Gimignano (la “Manhattan del Medioevo”, con le sue iconiche torri) entrambi sopravvissuti alla prova del tempo fino ai giorni di oggi grazie alla loro capacità, “mutatis mutandis”, di dialogare direttamente con l’anima umana.
Vi è poi un terzo elemento nella produzione artistica, stavolta del Cinquecento, che semina il percorso di indizi sulla notorietà antropologica e di consumo della Vernaccia e di San Gimignano, un pittore che si chiama Giorgio Vasari e che, dell’imponente opera delle tavole che adornano il soffitto del Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, nel cuore di Firenze, raffigura il colle di San Gimignano ed un satiro intento a bere proprio quel vino. Un meccanismo perfetto che ruota e suona come una composizione di scale musicali armoniche e progressioni tra musicalità delle parole e battito del tempo, scandito dal ritmo di ingegni letterari e rime, la Divina Commedia ancora oggi è uno strumento vivo che suscita dubbi e prospettive nell’infinita quantità di appassionati che si ingegnano per penetrare nei significati reconditi del capolavoro di Dante. L’unico vino bianco a denominazione della Toscana, la Vernaccia che, come testimoniato proprio dal Sommo Poeta, nel Canto XXIV del Purgatorio, era un vino diffuso all’epoca e ancora oggi rappresenta una delle Doc “bianchiste” di maggior notorietà nel panorama internazionale.
Dante nelle sue terzine fa continuamente riferimento alle proprie sensazioni, emozioni e alle reazioni corporee trasmettendo sentimenti umani che, come tali, possono sopravvivere in eterno, la Vernaccia è un vino bianco che ha goduto di una certa celebrità, anche dovuta al successo turistico di San Gimignano che (fino a prima del Covid) registrava oltre 2 milioni di accessi annui e che, ad oggi, vuole superare se stessa e classificarsi tra i bianchi di pregio del Belpaese, andando ad aumentare il valore e con una sempre maggiore attenzione alla qualità. Piove, dunque, fresco mosto d’uva bianco, frutto degli acini dorati di Vernaccia marchiati da piccole lentiggini, su San Gimignano e la sua zona produttiva di 700 ettari vitati e viziati dal circolo perpetuo di albe e tramonti. In generale la denominazione chiude positivamente il 2021. Si è verificato un aumento di quote di mercato del 12% sul 2019. Ed inoltre, nei primi undici mesi del 2021 sono stati imbottigliati 36.589 ettolitri di Vernaccia, mentre nel 2020, l’anno dei lockdown, erano stati 31.028, ma significativo è proprio il confronto con il 2019, quando gli ettolitri imbottigliati furono 32.497. Ed anche per quanto riguarda la vendemmia che è avvenuta in seguito a fenomeni poco entusiasmanti per gli agricoltori, dalle gelate alla siccità, la “Regina Bianca in una Terra di Re Rossi” ha segnato un trend positivo registrando un “solo” 10% di calo di produzione. E, dunque, sul finire dell’anno, è tempo di bilanci e propositi. Nell’agenda 2022 della Vernaccia vi sono degli appuntamenti fissati e degli obiettivi per tutto il comparto, come ha dichiarato, ai microfoni di WineNews, la presidente del Consorzio della Vernaccia di San Gimignano, Irina Strozzi Guicciardini: “aspettiamo gli appuntamenti canonici, dall’Anteprima che organizzeremo con la formula “diffusa”, al Vinitaly a Verona. Abbiamo raccolto dati positivi per il 2021 e ci aspettiamo di mantenere questo trend. La richiesta di Vernaccia sta crescendo a livello internazionale.”
E, nei settecento anni dalla morte di Dante, che cantò la Vernaccia, e che continua a far parlare di sé e nelle cantiche, nelle rime, nella lucida e chiara visione degli schemi del mondo e dell’animo umano, nelle continue citazioni e riferimenti ad un panorama culturale vasto ed eterogeneo che cita mistici arabi, culti orientali e formule magiche e pone le fondamenta del pensiero contemporaneo andando, in veste di poetico demiurgo, a mettere in ordine la concezione di “Al di là” che ancora oggi supporta l’immaginario collettivo, il Consorzio ha voluto, in un incontro informale e di saluti a Palazzo Vecchio a Firenze, nel Salone dei Cinquecento, invitare due esperti massimi di storia e d’arte per parlare proprio delle tracce evidenti che legano le bellezze letterarie, come nel caso della Divina Commedia, quelle artistiche, come nel caso di una tavola del Vasari sul soffitto del Salone, alla Vernaccia di San Gimignano. Franco Cardini, storico e saggista italiano, specializzato nello studio del Medioevo, e Carlo Francini, responsabile dell’Ufficio Rapporti con Unesco del Comune di Firenze. A Franco Cardini abbiamo voluto chiedere di far luce su chi fosse il Dante Alighieri che il 7 maggio 1300 arrivava a San Gimignano, avamposto fiorentino in terra senese: “era un politico abbastanza rampante, era un magnate che apparteneva all’aristocrazia cittadina e per tanto sarebbe dovuto rimanere al di fuori del governo della città, perchè all’epoca Firenze era governata da un “Governo di Popolo” inteso come popolo chiunque fosse iscritto ad una corporazione; ma Dante si iscrisse alla corporazione dei medici e degli speziali e così fu ammesso al governo, è per questo che viene raffigurato nelle vesti rosse, poichè esse erano gli indumenti dei dottori dell’epoca. La San Gimignano di quel tempo era una grossa città con probabilmente quattro o cinque mila abitanti, tenendo conto che Firenze ne aveva circa centoventi; era una grossa città in buoni rapporti con Firenze. I sangimignanesi di oggi sono tra i pochi toscani che hanno simpatia per Firenze, anche perché non amano Siena. All’epoca, comunque, San Gimignano era un luogo di passaggio, un’area strategica che fa comodo sia a Firenze che a Siena. Dante in un momento di crisi, come nell’anno 1300, va a San Gimignano, con i colleghi fiorentini, per assicurarsi che la città rimanesse fedele a Firenze”.
La mirabile visione della tavola del Vasari che campeggia nella parte antistante il palco nel Salone dei Cinquecento, al centro dove tra le effigi che raccontano la storia di Firenze, rappresenta sullo sfondo, dietro le tre figure centrali, il ritratto di San Gimignano: “un’allegoria - spiega, a WineNews, Carlo Francini, responsabile dell’Ufficio Rapporti con Unesco del Comune di Firenze - che rappresenta il fiume Elsa e, all’interno di quest’ultimo, si trova un satiro che sta bevendo. Non è facilmente intuibile che cosa stia bevendo. Ma è il Vasari stesso a spiegare la scena. Nei suoi “ragionamenti” descrivendo il quadro al principe Francesco fa un riferimento esplicito alla tavola in questione affermando di aver realizzato l’Elsa con dietro un satiro che beve Vernaccia costituendo così un riferimento esplicito al vino bianco”.
Dante, Vasari e la Vernaccia sono argomenti, dunque, appartenenti alla storia ma che travalicano il solco del passato per rimanere attaccati nel presente e costituire un faro universale per i valori al centro dell’umanesimo che, come in passato, anche nel prossimo futuro sarà una chiave ed un habitus mentale da protrarre affinchè il progresso umano possa continuare, specialmente in relazione ai danni che il cambiamento climatico produrrà sull’ambiente. L’acume del Sommo Poeta, i capolavori maestosi di Giorgio Vasari e il piacere di un vino bianco da consumare in contesti di socialità che, come nel Milletrecento, ancora oggi sono il collante di ogni epoca evoluta.
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