Sono circa 100.000 le aziende guidate da giovani under 35 a dimostrazione di come il settore rivesta in Italia grande interesse per le nuove generazioni, secondo un recente studio della Rome Business School, con quasi il 30% delle cantine con vigneto annesso dirette da donne, così come il 12% delle cantine industriali (dati Cribis- Crif). Ma forte è la presenza femminile anche nel commercio: le imprenditrici del mondo del vino guidano il 24% delle aziende legate alle vendite al dettaglio e il 12,5% di quelle all’ingrosso. A raccontarle sono case history come quella delle Langhe, dove dai “Barolo Boys” - termine coniato dalla stampa Usa e titolo della celebre pellicola che ha vinto numerosi festival per la regia di Paolo Casalis e Tiziano Gaia - ad oggi, di strada se ne è fatta. Ma non solo.
Era la metà degli anni Ottanta quando, a Barolo, Chiara Boschis, alla guida della storica Cantina Chiara Boschis - Pira & Figli, - 50.000 bottiglie prodotte all’anno tra cui i Barolo Cannubi e Mosconi e Via Nuova, due cru e un assemblaggio, Langhe Nebbiolo, Barbera Superiore e Dolcetto d'Alba - allora una pioniera nel settore, insieme ad altri visionari come, tra gli altri, Elio Altare, Giorgio Rivetti, Roberto Voerzio e Marc de Grazia, ha rivoluzionato il concetto di Barolo. È stata una generazione che ha voluto cambiare il modo di concepire, interpretare e comunicare il Barolo trasformandolo, negli anni Novanta nella star del vino sui mercati internazionali, in primis quello americano e andando oltre il suo luogo di origine, le Langhe, che, da qui in poi, sono diventate famose in tutto il mondo. “Le donne oggi sono protagoniste nelle aziende vitivinicole, mentre storicamente veniva loro assegnata una dote, che non era la vigna, e il compito di aiutare la famiglia. Non succede più: personalmente ho vissuto il periodo del femminismo e ho introdotto la mia passione femminista anche nel lavoro, giungendo alla conclusione che le donne sono la colonna portante della società - racconta Chiara Boschis - ai “Barolo Boys” riconosco di essere stati in grado di avviare un cambiamento radicale, grazie a strumenti morali e psicologici propri della nostra generazione. Abbiamo ripensato il modo in cui veniva prodotto il Barolo, attirandoci anche aspre critiche, a partire dal diradamento nelle vigne e dalla creazione di cantine più efficienti, con una spinta innovativa che ha richiesto numerosi investimenti, fino al conferimento di una maggiore importanza proprio al terroir. E le aziende sono poi andate in questa direzione”.
E le nuove generazioni ringraziano, e raccolgono i frutti. Come nel caso di Claudia e Silvia Cigliuti della Fratelli Cigliuti, l’azienda di famiglia a Neive - 35.000 bottiglie tra Barbaresco e Barbera - rivoluzionata dal padre alla fine degli anni Sessanta, spinto dalla voglia di innovare, produrre vino di qualità ed esportarlo all’estero (l’etichetta di oggi è la stessa del 1967, periodo in cui si decide di avviare il diradamento e di imbottigliare un vino di qualità per differenziarsi dai commercianti di quel periodo), e della quale oggi sono alla guida. Anche contro le aspettative del padre stesso che, avendo due figlie femmine, non immaginava avrebbero seguito le stesse orme. “E invece non avremmo mai potuto fare altro. Siamo nate in mezzo alle vigne e, quando si è trattato di decidere cosa fare della nostra vita, abbiamo capito che non avremmo mai potuto concepirla senza la vigna. Che amiamo e seguiamo personalmente trascorrendovi la maggior parte del nostro tempo: mia sorella è enologa mentre io mi occupo della parte commerciale. Ma siamo complementari, le decisioni le prendiamo insieme”, spiega Claudia Cigliuti.
Anche quella di Federica Boffa, 24 anni, formazione classica seguita da una laurea in Economia Aziendale, è una storia di famiglia, che oggi la vede alla guida con il cugino Cesare, come lei quinta generazione, della storica cantina Pio Cesare di Alba (450.000 bottiglie all’anno). “Per me è stata l’evoluzione naturale del modo in cui sono cresciuta, respirando l’atmosfera della nostra cantina storica, passeggiando tra i filari delle nostre vigne e in viaggio per il mondo con i miei genitori - ricorda - oggi puntiamo a una distribuzione capillare e selezionata, non desideriamo apparire troppo, la nostra filosofia è lasciarsi vedere e non farsi vedere”. Ed è il motivo per cui la Pio Cesare non ha un suo canale di e-commerce anche se, durante il lockdown, si è appoggiata a un portfolio di piattaforme: “abbiamo fatto degustazioni via zoom ma crediamo nel rapporto diretto con il nostro cliente, nella presenza fisica. E a proposito di donne: la mia generazione ne vede coinvolte moltissime qui nelle Langhe, e credo che il motivo sia la cura che questo mestiere richiede insieme alla pazienza, due virtù che da sempre ci contraddistinguono”, dice Federica Boffa.
Le fanno eco Giorgia e Fabrizia Costa, gemelle, classe 1984, dalla cantina Ermanno Costa di Canale (35.000-40.000 bottiglie all’anno tra Roero, Roero Arneis, Barbera d’Alba, Alba Doc, Chardonnay-Viognier detto Balin, e Bracchetto secco rosato detto Roséfiur). Niente e-commerce perché “ai clienti piace relazionarsi con il produttore”, sei ettari di terreno, vendita per passaparola e a clienti abituali. Tra i mercati esteri ci sono Usa, Nord Europa e Taiwan. “Nel corso degli anni, lavorando nell’azienda di famiglia, ci siamo accorte di riuscire a cogliere alcune sfumature che sfuggono a nostro papà e a nostro fratello. Come la cura dei dettagli. Il lavoro in vigna, essendo manuale, richiede delicatezza e pazienza, doti tipicamente femminili. Ma il mondo del vino rimane ancora per lo più maschile”.
Non sempre e non tutto, infatti, è roseo anche nel vino italiano. Secondo un recente Studio dell’Università di Siena sul gender gap nelle cantine commissionato dalle Donne del Vino e da Uiv-Unione Italiana Vini, esiste un problema nel settore: nella fascia di retribuzione sopra i 2.500 euro netti al mese le donne sono circa il 2%, mentre gli uomini il 5%. È vero però che le donne attive nelle aziende vitivinicole ricoprono ruoli apicali: in agricoltura i responsabili donna sono il 16% e lo stesso succede in cantina, dove il 34% dei responsabili è donna. Quando ad esempio Ornella Costa della cantina Matteo Correggia di Canale - 130.000 bottiglie, tra le altre, di Roero, Roero Arneis e Barbera, il 45% destinate all’Italia, il resto all’export con in testa tra i mercati Usa, Europa, Giappone e Australia - ha rilevato l’azienda del marito, venti anni fa, insieme allo storico collaboratore Luca Rostagno, si occupava esclusivamente della parte commerciale. Col tempo è cresciuta fino a gestire l’azienda insieme al figlio Giovanni, enologo: “ritengo sia necessario un cambiamento, che deve essere prima di tutto culturale - dice - per far sì che la donna, a parità di bravura, venga valorizzata tanto quanto un uomo. Personalmente non ho mai vissuto situazioni di imbarazzo, ma mi sono spesso ritrovata a essere l’unica donna presente agli incontri di lavoro. Per fortuna le cose adesso stanno cambiando”.
Luisa Rocca, 37 anni, della storica cantina Bruno Rocca a Barbaresco - 70/75.000 bottiglie, 7 su 10 100% Nebbiolo come Langhe Nebbiolo, Barbaresco, Barbaresco Currà, Barbaresco Rabajà, Barbaresco Riserva Currà, Barbaresco Riserva Rabajà e Barbaresco Maria Adelaide, accanto a Barbera d’Alba, Dolcetto d’Alba, il 35% per il mercato italiano, mentre tra i mercati esteri ci sono Giappone, Australia, Usa ed Europa - si è spesso trovata sola, unica donna, ma non si è mai sentita esclusa. Forte della passione del padre per il vino - talmente forte da fargli lasciare il lavoro alla Ferrero - è stata subito coinvolta in azienda ritrovandosi a 20 anni a New York per motivi di lavoro: “un vero battesimo del fuoco: da minorenne, negli Usa si può bere a partire dai 21 anni, mi sono trovata a gestire il nostro mercato americano. Ma ho sempre potuto contare sull’immagine di eccellenza che abbiamo, soprattutto all’estero, e questo mi ha aperto molte porte - ricorda Luisa Rocca che, oggi, segue la parte commerciale, mentre il fratello è enologo - la donna ha una visione profonda e articolata del settore e questo rappresenta un plus anche alla luce del fatto che oggi l’industria enologica è composta da diversi fattori che devono interagire tra loro”.
Ma da un grande vino all’altro, da uno storico territorio ad un terroir icona, le storie da raccontare dal Piemonte alla Sicilia, passando per la Toscana sono tante, come quella di Simonetta Valiani Biondi Santi, proprietaria della cantina Le Chiuse, a Montalcino - 40.000 bottiglie all’anno di Rosso di Montalcino, Brunello di Montalcino e Brunello di Montalcino Riserva - racconta la sua avventura iniziata nel 1987, a 26 anni e con tre figli piccoli, districandosi tra Firenze e Montalcino per gestire l’azienda di famiglia: “difficile all’inizio, e faticoso, con tre bambini. Ma la passione è sempre stata tanta e l’essere donna è stato di grande aiuto perché siamo più combattive e reattive. Oggi mio figlio lavora in azienda con me dopo aver svolto studi di agraria. Significa che sono riuscita a trasmettergli la passione per il mio lavoro”.
Queste imprenditrici sono state coinvolte da due giovani donne, le sorelle Giuditta e Arianna Gallo, proprietarie del Relais San Maurizio - e artefici della raccolta di queste storie - struttura di ospitalità di lusso nelle Langhe che ha dato vita a San Maurizio Wine Club, un luogo phygital creato per gli appassionati di vino. Si possono scegliere le migliori etichette sul mercato come risultato di una selezione accurata che conta sul know how in ambito enologico del Relais San Maurizio. “Con questo progetto vogliamo creare un sistema che mette insieme diverse cantine di grande qualità per offrire il meglio a chi è appassionato di vino, sfruttando sia le potenzialità dell’online sia i luoghi fisici. Naturalmente all’interno della nostra selezione non possono mancare le imprenditrici che lavorano nel settore e rappresentano questa “new wave” della quale ci sentiamo parte e che vogliamo sostenere”.
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