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SCENARIO EUROPEO

Ue, la direttiva sulle emissioni industriali mette a rischio migliaia di allevamenti italiani

Gli allarmi di Confagricoltura, Coldiretti (che ha scritto a Mario Draghi) e Alleanza delle Cooperative
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Un allevamento di vacche maremmane

La proposta dell’Ue di rivedere la direttiva sulle emissioni industriali ai fini della riduzione dell’inquinamento, che se estesa colpirebbe pesantemente migliaia di piccoli allevamenti, ha fatto insorgere l’agricoltura italiana. “La Commissione Europea continua a manifestare un orientamento punitivo nei confronti degli allevamenti, mentre i capi di Stato e di governo hanno chiesto di aumentare la sicurezza alimentare”, ha detto il presidente Confagricoltura, Massimiliano Giansanti. “La Commissione Europea ha proposto di inasprire gli obblighi già esistenti, con un pesante aumento dei costi amministrativi e burocratici. Attualmente solo il 5% degli allevamenti avicoli e suinicoli delle strutture attive negli Stati membri rientra nella sfera di applicazione della direttiva in questione. Sulla base delle proposte della Commissione si salirebbe al 50%. E non solo: le nuove regole si estenderebbero anche agli allevamenti di bovini. Rischiamo un taglio di produzione a livello europeo, aprendo così la strada a maggiori importazioni da Paesi terzi dove le regole sono meno rigorose di quelle valide nella Unione Europea, anche ai fini della sostenibilità ambientale”, evidenzia il presidente Confagricoltura, che aggiunge: “faremo il possibile per contrastare la diffusione delle carni sintetiche. E chiederemo a tal fine il supporto del Parlamento Europeo, del Consiglio e dei rappresentanti dei consumatori”.
Sotto il profilo procedurale, il testo varato dalla Commissione prevede di assegnare, dopo il via libera da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio, un periodo massimo di diciotto mesi agli Stati membri per trasporre la nuova direttiva nell’ordinamento nazionale. Direttiva che, secondo la Coldiretti, mette a rischio “21.000 allevamenti rappresentativi di gran parte della produzione zootecnica nazionale, che garantiscono occupazione a 150.000 persone”, spiega il presidente Ettore Prandini, che ha scritto al presidente del Consiglio Mario Draghi in materia.
Secondo Coldiretti, quelli che verrebbero aggiunti dalla direttiva, sono “adempimenti che - sottolinea Prandini - appesantiscono le condizioni degli allevamenti già toccati dall’insostenibile aumento dei costi provocati dalla guerra in Ucraina. Nel contesto dell’evidente emergenza sulla sicurezza e autosufficienza alimentare per l’Italia e l’Europa aperta dal conflitto ucraino-russo, si tratta di misure che penalizzano la produzione nazionale ed europea a favore delle importazioni da paesi extracomunitari (spesso realizzate senza reciprocità quanto a criteri sanitari, ambientali e sociali) e rischiano di porre una tassa indebita sui consumatori. Ciò appare paradossale - sostiene Prandini - considerando che l’allevamento italiano, anche grazie all’impegno del Governo sulla nuova frontiera dell’economia circolare e delle energie rinnovabili, continua a mantenere una posizione di primato in termini di sostenibilità. Il sistema europeo, dal canto suo, è l’unico al mondo ad aver ridotto le emissioni di gas a effetto serra (del 20% dal 1990) e tale dato potrebbe diminuire ancora guardando all’esperienza italiana, in cui le emissioni costituiscono il 7,1% rispetto al totale. Le potenzialità di miglioramento sono alla portata della nostra zootecnia puntando fin d’ora sulla gestione dei residui e sulla produzione di energia rinnovabile attraverso il biogas e il biometano. Confidiamo - conclude il presidente Coldiretti - nell’intervento del Governo italiano, nella direzione già assunta dal Governo francese che detiene la Presidenza di turno dell’Ue fino a fine giugno, affinché nei prossimi passaggi dell’iter legislativo in Parlamento ed in Consiglio UE, la proposta della Commissione sia profondamente rivista”. Governo italiano che ha già parlato per voce del Ministro delle Politiche Agricole, Stefano Patuanelli, come sottolinea l’Alleanza delle Cooperative, che ha espresso, “pieno sostegno e condivisione alla posizione espressa da Patuanelli: l’Europa non può intervenire per appesantire con ulteriori oneri agli allevatori, specie in questo contesto economico geopolitico in cui il settore zootecnico è alle prese con l’attuale crisi energetica, l’aumento dei costi di produzione e il problema dell’approvvigionamento delle materie prime per la mangimistica generato dal conflitto russo-ucraino”, ha detto il Coordinatore del Settore Zootecnico di Alleanza delle Cooperative, Graziano Salsi.
“Con la revisione della direttiva - spiega Salsi - vengono messi a rischio migliaia di allevamenti italiani. Estendere il sistema di certificazione sulle emissioni agli allevamenti di suini e del pollame con più di 150 capi, oggi previsto per quelle realtà produttive con più di 2.000 suini e più di 40.000 polli, e aggiungere nel suo ambito di applicazione le produzioni bovine prima escluse, rischiano di compromettere la capacità di approvvigionamento nazionale del paese che risulta già deficitario per quanto riguarda la produzione di latte e carne bovina. Ciò significherebbe aggravare la burocrazia per gli imprenditori e far aumentare ulteriormente i costi di produzione, col rischio di portare al collasso il settore e alla chiusura degli allevamenti. Siamo in una situazione - continua Salsi - nella quale da un lato ci si interroga su come assicurare ai cittadini europei la sicurezza alimentare messa in potenziale pericolo dalle conseguenze del conflitto Russo-Ucraino e dall’altro si rischia di emanare norme ulteriormente restrittive su una realtà produttiva già di elevatissima qualità che opera con rispetto ambientale, soprattutto se pensiamo ad esempio alle straordinarie Dop del prosciutto di Parma e del Parmigiano Reggiano. Si tratta di allevamenti - continua Salsi - di dimensioni tali che normalmente sono in equilibrio con i fattori della produzione, a partire dai terreni nei quali gestire i reflui zootecnici. Sarebbe pertanto un errore aggravare con ulteriori pratiche burocratiche imprenditori poco più che a gestione famigliare già presi dalle attività ordinarie di gestione”.

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