Il grano riparte dai porti dell’Ucraina. Più di un segnale andrebbe in questa direzione ad iniziare da quanto ha dichiarato il presidente Vladimir Putin: “nessuno impedisce alle autorità ucraine di sminare i loro porti e permettere così alle navi con il grano di partire. La Russia garantisce la loro sicurezza”. Queste le parole del leader russo citato da Interfax. Lo “sblocco” del grano sarebbe fondamentale perché molti Paesi dipendono dall’Ucraina per questo prodotto. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha assicurato che gli alleati stanno lavorando “per mitigare gli effetti” della crisi e “far uscire il grano dall’Ucraina”. La Turchia, ha detto il numero uno dell’Alleanza, sta cercando di facilitare un accordo e la Grecia ha annunciato di essere “pronta a rendere disponibili delle navi per fare uscire il grano”. Secondo quanto riferito da Stoltenberg, Lituania e Romania stanno lavorando per “ampliare la loro capacità ferroviaria per trasportare più cibo” e il segretario generale ha ribadito come “questa crisi alimentare non è causata dalle sanzioni della Nato. È causata dalla guerra di Putin e il modo migliore per mettere fine alla crisi alimentare è mettere fine alla guerra”.
Con l’Ucraina che copre il 10% degli scambi mondiali di grano la ripresa dell’attività dei porti rappresenterebbe un segnale importante per frenare la corsa dei prezzi dei cereali e rifornire i Paesi più poveri dove la chiusura degli scali rischia di provocare rivolte e carestie. A dirlo è Coldiretti sulla base dei dati del centro Studi Divulga dopo l’annuncio di Mosca sulla prima nave mercantile con 7.000 tonnellate di grano che ha lasciato “dopo mesi” il porto di Berdyansk, città ucraina sotto il controllo dei filorussi. Lo sblocco dei porti libererebbe anche lo spazio nei centri di stoccaggio per accogliere i nuovi raccolti di grano in arrivo che sono stimati in calo di circa il 40% rispetto alle attese, a causa della guerra. Proprio dai suoi scali l’Ucraina commercializzava prima della guerra il 95% del grano prodotto. Per la Coldiretti il blocco delle spedizioni dai porti del Mar Nero a causa dell’invasione russa “ha alimentato l’interesse sul mercato delle materie prime agricole della speculazione che si sposta dai mercati finanziari ai metalli preziosi come l’oro fino ai prodotti agricoli dove le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati “future” uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto, a danno degli agricoltori e dei consumatori. Il risultato è che le quotazioni delle materie prime alimentari a livello mondiale sono aumentate del 34% nell’ultimo anno” (elaborazioni Coldiretti su dati dell’Indice Fao a maggio) con i prezzi internazionali dei cereali lievitati del 23,2% rispetto ad un anno fa. I lattiero caseari sono saliti del 19%, lo zucchero di oltre il 40%. L’Italia guarda interessata, importando il 62% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti, il 35% del grano duro per la pasta e il 46% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame. “Bisogna invertire la tendenza ed investire per rendere il Paese il più possibile autosufficiente per le risorse alimentari facendo tornare l’agricoltura centrale negli obiettivi nazionali ed europei” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “nell’immediato occorre salvare aziende e stalle da una insostenibile crisi finanziaria per poi investire per aumentare produzione e le rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità ma serve anche contrastare seriamente l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono nei terreni e sostenere la ricerca pubblica con l’innovazione tecnologica e le Nbt a supporto delle produzioni, della tutela della biodiversità e come strumento in risposta ai cambiamenti climatici”.
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