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TREND E CURIOSITÀ

Italians love fusilli, battuti gli spaghetti. E il 25 ottobre si festeggia il “World Pasta Day”

Viaggio intorno al piatto-simbolo del Belpaese, ma non solo: nel 2021 se ne sono consumate 17 milioni di tonnellate nel mondo

É il primo cibo che ci viene in mente quando abbiamo fame, capace di rievocare le atmosfere slow del pranzo della domenica ma anche della spaghettata dell’ultimo minuto: la pasta è parte integrante dell’identità culturale degli italiani, un piatto che siamo riusciti ad esportare in tutto il mondo - ogni anno se ne consumano globalmente 17 milioni di tonnellate, un dato raddoppiato in 10 anni - e di cui nessun popolo può ormai più fare a meno, tanto che il 25 ottobre si festeggia il “World Pasta Day” 2022. Piatto-simbolo del Belpaese, per questo motivo spesso strumentalizzato come nell’ultima, controversa copertina di The Economist (con una caricatura della ormai ex premier Liz Truss con una forchetta dagli spaghetti immancabilmente arrotolati attorno, ad evocare le analogie in negativo tra i due Paesi), che, secondo Coldiretti, mette in luce l’ossessione degli inglesi per la pasta (gli inglesi sono al quarto posto tra i maggiori acquirenti di pasta made in Italy nel mondo, e nel 2021 l’export ha fatto un balzo del +39%, nonostante la Brexit). Gli italiani ne consumano ben 23 kg a testa all’anno e il nostro formato preferito, secondo l’indagine di Idealo - portale internazionale di comparazione prezzi - sono i fusilli, che battono a sorpresa gli evergreen spaghetti, arrivati secondi.
Ma la pasta è soprattutto un business di rilievo: secondo i dati International Pasta Organisation, promotore con Unione Italiana Food del “World Pasta Day” - giunto, quest’anno, all’edizione n. 24 - l’Italia è il primo Paese produttore di pasta (con 3,6 milioni di tonnellate, pari ad un 1/4 di tutta quella mondiale, precediamo Turchia e Stati Uniti), e siamo anche i primi consumatori, con 23 kg procapite annui, davanti a Tunisia (17), Venezuela (15), Grecia (12,2), Cile (9,4 kg), Stati Uniti (8,8 kg), Argentina e Turchia a pari merito (8,7 kg). Se il 2021 ha registrato 2,2 milioni di tonnellate di pasta made in Italy esportata, le elaborazioni Coldiretti (su dati Istat) rivelano un aumento record del 33% dell’export nei primi 7 mesi 2022. Sono i tedeschi a spendere di più in assoluto per acquistare pasta dal Belpaese, con un incremento del 31% nell’ultimo anno, mentre, al secondo posto, si classificano gli Stati Uniti, dove l’incremento è stato addirittura del +45%, anche sotto la spinta dell’euro debole nei confronti del dollaro. Al terzo posto, la Francia con un incremento del 25%. La filiera italiana è composta da 200.000 aziende agricole impegnate a fornire grano duro di altissima qualità ad un comparto che conta 360 imprese e circa 7.500 addetti, per un valore complessivo di circa 5 miliardi di euro.
Una ricerca di Unione Italiana Food, realizzata in collaborazione con Fic - Federazione Italiana Cuochi e Ita - Italian Trade Agency, rivela poi come la pasta italiana viene proposta nel mondo, intervistando 60 cuochi e ristoratori italiani attivi in Germania, Francia, Uk, Stati Uniti, Giappone ed Emirati Arabi Uniti, tutti Paesi che rappresentano la spina dorsale e il futuro dell’export di pasta italiana. Secondo lo studio, per l’82% dei ristoranti interpellati (le punte più alte in Giappone e Francia), il consumo di pasta è aumentato, confermando una tendenza che avevamo già visto attiva nei consumi casalinghi, durante e dopo il lockdown). E infatti la pasta è molto importante nel determinare il successo del locale per il 67% dei ristoratori (addirittura l’80% in Francia e Germania). Il 50% dei consumi di pasta nei ristoranti è coperto da pasta secca lunga, come spaghetti, linguine, bucatini e soprattutto liscia. Si cucina seguendo il modello consueto (67%, con aficionados soprattutto in Francia e in Giappone), con acqua che bolle e fuoco acceso fino al raggiungimento dei tempi previsti, poi scolata e condita o al massimo (30%) risottandola (cioè cuocendola in padella con il condimento). Praticamente sconosciuta - 2% solo negli Stati Uniti - la cottura cosiddetta passiva (pochi minuti di bollore poi fino a quando viene scolata a fuoco spento). Curiosità: il 22% dei ristoratori serve maxi-porzioni oltre i 100 grammi (addirittura il 60% nell’insospettabile Francia).
In compenso, la filosofia della pasta al dente, che è, di fatto, sinonimo di approccio italiano alla pasta, si è affermata anche all’estero. Lo afferma l’82% dei cuochi interpellati. In Francia e Stati Uniti la pasta è al dente praticamente in tutti i ristoranti. Mentre il 18% - con punte del 40% in Giappone - si “piega” al gusto locale che a volte la preferisce stracotta. E sono anche pochi i compromessi rispetto agli usi locali: il 55% dei ristoranti serve ricette regionali italiane, il 31% ripropone la tradizione e solo il 14% ritiene che il glocal sia la strada giusta. Anche le ricette che hanno poco a che vedere con il made in Italy scompaiono nel 73% dei ristoranti.
La pasta è anche un piatto anticrisi, considerando i contraccolpi di pandemia, geopolitica, caro prezzi ed energia. Protagonista di infinite ricette antispreco e del giorno dopo, si conferma un alimento accessibile anche in un momento difficile per tutti. Per esempio, in Italia con mezzo chilo di pasta e pochi altri ingredienti (pomodoro, un filo d’olio evo e una spolverata di formaggio) si riesce a preparare un pasto gustoso, nutriente e bilanciato per una famiglia di 4 persone, spendendo poco più di 2 euro. E negli Stati Uniti, considerando il costo medio di un pacco di pasta da una libbra (1,36 dollari per poco meno di 500 grammi), una famiglia americana di 4 persone può mangiare un piatto di pasta spendendo la metà o meno di quanto farebbe per acquistare un hot-dog a testa.

Focus - Pasta fresca regionale, un vanto del made in Italy
L’Italia è il Paese con il più vasto numero di formati di pasta (oltre 300 quelli presenti sugli scaffali dei supermercati), con le sue innumerevoli varianti regionali. Omio, piattaforma di viaggio leader in Europa, ha selezionato i tipi di pasta fresca più curiosi. A cominciare dai cjarsons del Friuli Venezia Giulia, tipici della regione della Carnia. Simili ai ravioli, un tempo venivano farciti con ciò che si aveva a disposizione in casa, come spezie o erbette. In Piemonte ci sono gli agnolotti del plin, un tipo di pasta ripiena solitamente preparata con un ripieno a base di carne e servita con condimenti come sugo d’arrosto, burro e salvia o pomodoro. I testaroli sono tipici della Liguria, in particolare della tradizione contadina della Lunigiana. Il loro nome deriva dal “testo”, una teglia che si usa sulla brace: si fanno con la pastella, come una crêpe, che viene poi lasciata asciugare e tagliata grossolanamente. In Veneto troviamo i bigoli, pasta lunga simile agli spaghetti ma più grossi e ruvidi, mentre in Emilia Romagna c’è la gramigna, simile ad un bucatino corto arricciato, soprannominata anche “paglia e fieno” per via dei suoi due colori giallo e verde. Le mafalde sono tipiche della Campania: chiamate anche reginelle, sono riconoscibili grazie al loro aspetto “merlettato” e devono il loro nome a Mafalda di Savoia, per la cui nascita, nel 1902, vennero create la prima volta. Originarie delle Marche le lumachelle, dette anche passatelli in altre zone, sono cilindretti composti da un ricco impasto a base di parmigiano, pangrattato, uova, farina e noce moscata. Vengono mangiati solitamente in brodo. In Umbria si possono assaggiare gli strangozzi, una pasta fresca all’uovo legata alla tradizione povera.
Non dimentichiamo infine la tradizione: le quattro ricette di pasta made in Roma più famose al mondo, ovvero Carbonara, Cacio e Pepe, Amatriciana e Gricia hanno come immancabile comune denominatore il Pecorino Romano. Proprio per diffondere l’importanza dei marchi europei, il Consorzio del Pecorino Romano Dop ha dato il via ad una campagna che coinvolge l’Italia e la Germania e prevede una serie di attività promozionali: il mercato tedesco, con 17.000 quintali all’anno, e quello italiano con 100.000, assorbono infatti il 41% della produzione totale di Pecorino Romano, rappresentando due asset strategici.

La pasta tra e-commerce e delivery
Nel 2022, secondo i dati di Idealo, il mercato della pasta ha subito un’accelerazione nella domanda online (oltre il 6% delle ricerche fatte in ambito food è legato alla pasta), così come l’intero comparto del food e-commerce. Non solo, l’online si sta dimostrando un valido alleato per quanti abbiano delle specifiche necessità che un market poco fornito non sempre riesce a soddisfare: basti pensare che quasi il 54% della pasta più cercata online è “senza glutine”. A differenza di altri prodotti del settore food che hanno risentito maggiormente dell’inflazione dilagante, il costo online della pasta nel corso dell’ultimo anno è rimasto tendenzialmente costante, facendo registrare in media un +1,7% rispetto al 2021.
Ma la pasta in Italia è sempre più protagonista anche nella spesa a domicilio. Deliveroo, che conta circa 2.000 supermercati da cui acquistare generi alimentari tramite app, ha registrato nel terzo trimestre del 2022, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, un incremento del 130% negli ordini di pasta. I formati preferiti? Tra le oltre 500 referenze disponibili, in testa le penne rigate, davanti a spaghetti, fusilli, farfalle e rigatoni. Tra chi invece sceglie di ordinare il delivery al ristorante, in testa alle preferenze si posizionano le classiche ed intramontabili tagliatelle al ragù, davanti a carbonara e lasagne alla bolognese. Tra le scelte più gettonate dai circa 4.000 ristoranti partner di Deliveroo che offrono pasta, anche ricette a base di pesce come linguine allo scoglio e spaghetti con le vongole. Proprio in occasione del World Pasta Day Deliveroo lancia la “Giornata mondiale della Pasta del giorno dopo”, con due ricette in collaborazione con Ruben Bondi - noto chef tiktoker romano - conosciuto per la sua cucina sul balcone di casa e volto tv. Bondi per Deliveroo ha reinterpretato fettuccine e spaghetti cucinati il giorno prima, in due ricette “di recupero” da realizzare a casa.

Focus - La pasta e la “cottura passiva”
Se uno dei trend topic degli ultimi mesi è stata la cottura passiva della pasta - ne hanno parlato tutti, dallo scienziato premio Nobel Giorgio Parisi al velista Giovanni Soldini, passando per lo chef Davide Oldani e per Barilla, che sul metodo salva energia ha impostato una campagna di comunicazione social - arriva Agnesi, storico brand made in Italy, a rivendicarne la paternità. Pare che ci avesse già pensato intorno alla metà degli anni Sessanta del Novecento Vincenzo Agnesi. Negli ultimi anni, fanno sapere dall’azienda, questo metodo è stato perfezionato da numerosi test effettuati nei loro laboratori di ricerca e qualità, arrivando a ridurre del 75% il consumo di acqua e il 75% di energia. Semplice ed efficiente, il metodo Agnesi consiste nell’immergere la pasta in una quantità di acqua fredda ridotta (1,2 litri per ogni 500 grammi di pasta, rispetto ai 5 litri della cottura tradizionale) e portare ad ebollizione. Poi si mescola la pasta, si chiude il coperchio, si spegne il fuoco e si lascia cuocere per il tempo indicato sulla confezione, più un minuto a discrezione del consumatore. Così il tempo di consumo energetico passa dai 29 minuti circa del metodo tradizionale (18 minuti per portare a bollore 5 litri d’acqua più 11 minuti per la cottura della pasta), a soli 7 minuti per portare a bollore 1,2 litri d’acqua con 500 grammi di pasta. Ma sulla disputa infinita della cottura passiva è intervenuto anche Gennarino Esposito, chef due stelle Michelin, con la “Torre del Saracino” di Vico Equense, che, intervistato da Winenews, ha chiuso definitivamente a modo suo la querelle: “lasciateci godere di una cosa tanto semplice quanto meravigliosa. Nelle abitudini e nei gesti di tutti i giorni possiamo trovare molti altri modi per salvare energia, piuttosto che cuocere male la pasta. Altrimenti un piatto che è di per sé perfetto perde magia e sensualità”.

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