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SCENARIO CUPO

Vino italiano, nel 2023 i fatturati scenderanno del -16%. E ci sono 3 milioni di ettolitri di troppo

L’allarme, rilanciato nel convegno di filiera a Wine2Wine, nell’analisi dell’Osservatorio di Unione Italiana Vini (Uiv) e Vinitaly

Il 2022, probabilmente, sarà ancora un anno positivo e di crescita per i bilanci delle aziende, almeno di quelle leader, del vino italiano. Ma lo scenario per il prossimo futuro, con orizzonte 2023, è decisamente cupo. Tra voci di costo lievitate e vendite in flessione, crollo della redditività, ansia da recessione. Per il Belpaese enoico, reduce da anni di crescita importante sui mercati mondiali, pur nel periodo difficile e complesso della pandemia, ora il “grande freddo” è già arrivato, e questa volta, pare, per davvero. E si farà sentire per tutto il 2023. Lo dice l’indagine congiunturale dell’Osservatorio Uiv/Vinitaly, presentata oggi al wine2wine di Veronafiere, nel convegno di filiera che ha aperto l’evento dedicato al vino. Secondo lo studio, il surplus di costi registrato quest’anno dalle imprese italiane - 1,5 miliardi, l’83% in più, derivanti dai soli aumenti dei prezzi energetici e delle materie prime secche, come tappi, vetro e carta - complicherà i bilanci 2022 delle imprese. A partire dal Margine operativo lordo, previsto quest’anno al 10%, in discesa rispetto al 25% del 2021 e peggiore anche dell’annus horribilis 2020, quando l’indicatore di redditività riscontrato era al 17%. Ma la vera doccia fredda sarà nel 2023: in uno scenario recessivo il Mol andrà in caduta libera (4%), con un fatturato, a -16%, che in molti casi non riuscirà a coprire costi in decremento (-11%) ma comunque relativamente alti. In termini monetari, la riduzione del Mol attesa per l’anno prossimo è di 900 milioni di euro, attestandosi così a 530 milioni di euro contro il miliardo e 400 milioni del 2022 e i 3,4 miliardi del 2021.
Relativamente al mercato, l’Osservatorio di Unione Italiana Vini (Uiv) e Vinitaly prevede per il 2022 una chiusura d’anno con vendite generali in calo dell’1% a volume (41,4 milioni di ettolitri), per un valore in aumento, grazie all’horeca e alla vendita diretta, del 6%, a 14,3 miliardi. Molto meglio l’estero sulla dinamica valoriale (+10% contro +1% del mercato italiano), mentre i volumi sono attesi stabili in Italia e in leggera contrazione sui mercati internazionali, in particolare Usa, Germania, ma anche Cina e ovviamente Russia. Il dato del valore - rileva l’analisi - non deve però trarre in inganno: l’incremento, del tutto inflattivo, del 7% sul prezzo medio non basta a coprire i costi, come dimostrato dalle richieste delle imprese alla distribuzione di aumentare i listini mediamente del 12%.
Per l’ad Veronafiere, Maurizio Danese, sul palco insieme ai rappresentanti delle associazioni di riferimento del vino italiano (da Luca Rigotti, coordinatore settore vino di Alleanza delle Cooperative, al presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella, da Cristiano Fini, presidente Cia-Agricoltori Italiani, al consigliere Coldiretti Francesco Ferreri, dal vicepresidente Confagricoltura, Giordano Emo Capodilista, al presidente di Federdoc, Giangiacomo Gallarati Scotti Bonaldi, dalla presidente Federvini, Micaela Pallini, al consigliere Fivi Andrea Pieropan, dal presidente Unione Italiana Vini - Uiv, Lamberto Frescobaldi, al presidente Veronafiere, Federico Bricolo), “il vino italiano non è solo un prodotto bandiera ma un comparto sano che contribuisce in maniera determinante allo sviluppo economico e sociale del Belpaese. Affrontare con serietà e attenzione le dinamiche di un settore nelle sue fasi evolutive è un servizio che Vinitaly vorrà sempre più perseguire. Da una parte per mettere questi studi al servizio delle imprese e degli stakeholder, dall’altra perché è dall’analisi dei bisogni e delle priorità che proseguirà con ancora maggior determinazione il nuovo corso di una manifestazione che vuol essere sempre più pragmatica e in sintonia con la realtà del settore”.
Nel complesso, in un anno tenuto a galla dall’horeca nostrana e internazionale oltre che dalla vendita diretta, il 2022 chiuderà peggio di come è iniziato. In questo senso non aiuta né il calo del 10% a tutto settembre dei volumi di vendita nella Gdo dei primi 3 mercati esteri (Usa, Germania e Uk), né soprattutto i valori medi del vino sfuso, relativi a una nuova vendemmia sopra i 50 milioni di ettolitri, in calo del 15%-20%. Sul punto si sofferma l’analisi, perché le difficoltà congiunturali acuiscono la crisi di crescita di una superpotenza enologica che produce troppo vino, e l’invenduto trascina verso il basso anche il valore del prodotto “sano”. “Una riduzione di 3 milioni di ettolitri - cita l’analisi - aiuterebbe ad alleggerire la filiera delle eccedenze, liberando energia sulla parte sana e messa in commercio”. La sovrapproduzione genera eccedenze sia tra i vini comuni che tra le Dop-Igp; per questo sarebbe necessario fare ordine sul sistema dei prodotti certificati: su un totale di 458 Dop-Igp solo 90 presentano un tasso di imbottigliato su rivendicato sopra l’80%, mentre sono ben 270 (il 60% del totale) le denominazioni sotto il 60% di imbottigliato.

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