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Il Sole 24 Ore

Storia dell’amarone, passione e inventiva con forti radici venete … Spesso, quando si leggono storie di imprese, si ricava L'impressione di avventure nell’orizzonte della modernità, accadute in maniera fortunosa, quasi si sia trattato di un’ascesa casuale e involontaria. Ogni narrazione, di solito, prende spunto da tre elementi: ci sono gli uomini (o le famiglie) che ne sono stati protagonisti; il territorio in cui è venuto a germinare un determinato tipo di prodotto; i fatti che appartengono all’evolversi della Grande Storia, declinati come sfondo in cui pure interagiscono in maniera più o meno diretta con le sorti dell’azienda, lasciando inevitabilmente i] segno. Tutto ciò avviene anche in questo libro, che racconta una vicenda di vini e vigneti, di caparbietà laboriosa e del talento di chi, in 250 anni, ne ha saputo affermare il valore, compiendo una specie di miracolo: ciò che all’avvio della storia era un prodotto locale - nel caso specifico l’Amatone, ma non solo - è diventato un brand di livello internazionale, un esempio tra i più accreditati al mondo per riconoscere un’eccellenza tipicamente italiana. Nel lavoro di Sandro Boscaini sono presenti tutti gli ingredienti per dare origine a un vero e proprio romanzo sul vino: un territorio ben marcato dal punto di vista geografico e antropologico (un pezzo di quel Veneto provinciale e contadino che sa di chiese e di dialetto, il Veneto a cui ci hanno abituato i romanzi di Luigi Meneghello, Goffredo Parise, Ferdinando Camon); un ceppo familiare stratificatosi lungo la verticalità di sette generazioni, che si è ritagliato i contorni dell’epopea borghese tramite matrimoni e parentele acquisite; una quantità agrodolce di avvenimenti storici che hanno attraversato il tempo lungo i due secoli e mezzo che ci separano dal 1772, anno della prima vendemmia nel Vaio dei Masi. Indubbiamente questo racconto elastico tra passato e futuro ha una sua validità se applicato aogni etichetta nobile, ma qui probabilmente i prestiti con il territorio della Valpolicella e con la sua conformazione di valli e torrenti su cui il clima lasciala propria scrittura, fatta di linee e di interruzioni, sono maggiori perché uno degli aspetti cruciali dell'avventura narrata è l’aver elevato la nozione di “vino come alimento” a quella di “vino come espressione culturale”, figlio di una visione antropologica del territorio e dei suoi abitanti e, proprio per questo, erede di una dimensione del vivere che contiene sacrifici, speranze, sogni, delusioni, studio, fatiche. In ogni bottiglia dell’azienda Masi si racchiude tutto questo. Oggi ci viene naturale pensarla in questo modo, ma così non è stato nel passato più o meno recente. Eppure il discorso non si esaurisce qui. La seconda parte del libro ci ricorda che esiste un antico motto veneto, composto da appena due termini - saper far- nei quali converge l’anima di un popolo laborioso e perfezionista, umile ma paziente, quell’antica virtù che ha permesso a una terra povera di approdare stabilmente al traguardo del benessere e dello sviluppo diffuso. Ebbene, Boscaini ci ricorda anche che basterebbe invertire le parole -far saver - per ottenere una regola che nel Gruppo Masi è diventata aurea: non basta saper fare, bisogna anche comunicare ciò che si fa. A questo scopo risponde l’influirsi del racconto fino alla soglia dei nostri anni. Ne esce una ragnatela integrata di uomini e di strutture, un agglomerato di intelligenze che cooperano verso un obiettivo unico e totalizzante. Che sia questa la strada per una dimensione comunitaria? Forse sì. Ma è anche la conferma di una continuità rispetto ai lasciti di un racconto familiare, dove tanti sono i nomi e i volti, i profili e le voci, ma unico resta il punto di osservazione: la necessità di vivere il moderno, non per subirne le contraddizioni ma per correggerne gli errori ed edificare qualcosa che rimanga.

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