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Il Giornale

Ora il vignaiolo Moser batte anche il campione … I grandi Trentodoc della cantina dell’ex ciclista “Lavoravo le vigne ancora prima di correre”… Addio vigna del ciclista. La cantina Moser non ha più bisogno della fama di Francesco il campione del mondo e uno dei più importanti sportivi della storia italiana. Naturalmente lui è là, in forma come quando vinceva il Giro d’Italia nel 1984 e faceva il record dell’ora in Messico, e infatti il vino bandiera dell’azienda, un metodo classico Trento doc da uve Chardonnay, si chiama 51,151 come i chilometri percorsi da Francesco quel 23 gennaio 1984. Ma sono il figlio Carlo, manager, e il nipote Matteo, enologo, a portare avanti la cantina. Che può quindi far pace con quel nome ingombrante che un po’ ha aiutato (“senza le vittorie di papà non avremmo mai potuto acquistare le vigne e costruire la cantina”, confessa Carlo) ma ha anche impedito a lungo alla cantina Moser di esser presa sul serio dal punto di vista enologico. Chi scrive ricorda ancora qualche anno fa lo stand Moser al Vinitaly affollato per la presenza di Francesco, a cui tutti chiedevano autografi e selfie, che allora forse nemmeno si chiamavano così. Il fatto è che i vini Moser sono puliti e ben fatti, espressione di un territorio vocato (e bellissimo), la Val di Cembra, che i Moser abitano, amano e rispettano. Ed espressione di una vocazione di famiglia che non è mai passata in secondo piano nemmeno quando il nome Moser figurava sulle pagine di sport dei giornali e non nelle rubriche enologiche. Le vigne sono curate in modo maniacale da una squadra appassionata e competente, che utilizza pratiche biologiche mira te a mantenere le piante in equilibrio vegetativo e a non stressarle: ecco quindi la potatura e la legatura manuali, la concimazione naturale, il sovescio e la potatura verde in estate, la raccolta manuale delle uve. Poi, in cantina, lo stesso rigore, lo stesso rispetto da parte di Matteo, convinto che l’“ingrediente” più importante per fare un vino, per farlo buono, sia il tempo. Cosa che per il nipote di un uomo che lottava (e vinceva spesso e volentieri) con il cronometro ha un suo ironico senso. Francesco racconta di come sia diventato produttore prima di essere ciclista. “Io e i miei fratelli abbiamo sempre avuto a che fare con le vigne, papà faceva il vino e noi ci siamo fatti le ossa curando la terra. A sedici anni andavo sul trattore, anche se noi da vamo il vino alla cantina sociale di La Vis. E quando sono diventato ciclista e vincevo le gare veniva tutto il paese da noi, ma non tanto per festeggiare me quanto perché aprivamo la cantina”. Poi, dopo il ritiro, Francesco individuò e acquistò il maso che ora è il cuore dell’azienda (“non perché sia il mio, ma uno dei più belli di tutti”). E da lì la storia di un successo non sempre facile. “Da quando io e Matteo siamo arrivati in azienda, abbiamo sempre cercato di far capire i1 nostro valore del nostro vino, senza passare per forza come cantina del ciclista. Oggi che ci apprezzano per il prodotto, lascio volentieri che il papà parli di ciclismo”. I Moser producono oltre a già citato 51,151 altri due Trento doc (Rosé e Brut Nature) e i vini fermi della linea Warth, per lo più monovarietali bianchi (Gewürztraminer, Moscato Giallo, Riesling, Müller Thurgau) e rossi (Teroldego e Lagrein). Ultimo nato il Blauen 2015, un Trentodoc Extra Brut Blanc de Noirs affinato per 72 mesi sui lieviti in bottiglia prodotto con uve Pinot Nero del Dòs dei Cedri. Una piccola produzione (2.700 bottiglie destinate ad aumentare lievemente nelle annate successive) per una piccola chicca: un perlage finissimo, un naso elegante e lievemente affumicato, una bocca sapida e persistente. Ora si può dire: un campione da un campione.

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