La Francia, senza Caterina de’ Medici, non avrebbe la forchetta, l’Italia, senza Caterina de’ Medici, non avrebbe il Cabernet. Perché quando la futura regina consorte di Francia sposò Enrico II di Valois, nel 1533, Re dal 1547, alla corte di Francia la vita era ben diversa da quella di Firenze. In Toscana, nonostante il declino dei Medici, la cultura, giocava un ruolo di primissimo piano, e Caterina seppe conquistarsi il rispetto dei reali francesi anche grazie alla sua straordinaria preparazione: padroneggiava l’italiano, il francese, il latino e il greco. E mangiava con la forchetta. L’occasione per ricordare la sua portata, ce la offre “Caterina de’ Medici e il suo ricettario. Piccola degustazione storica”, tra assaggi, sapori, profumi e suggestioni della tavola tra il Cinquecento e il Seicento, il 29 aprile al Palazzo Pretorio a Terra del Sole, città-fortezza medicea nel cuore della Romagna, tra i tantissimi eventi promossi dalla Strada dei Vini e dei Sapori dei Colli di Forlì e Cesena, con Slow Food, alla scoperta di un mondo culinario solo in parte scomparso, ma che, in tante declinazioni, risulta ancora presente nella cucina moderna.
Quando, nel Cinquecento, Caterina de’ Medici introdusse la forchetta alla corte di Francia e nel mondo intero, fu perché le ampie gorgiere alla moda intralciavano le nobili bocche nell’assaggiare le tante ricette che aveva portato con sé dall’Italia, grazie al suo seguito di cuochi, pasticceri e gelatai, entrate poi a far parte della cucina francese ed a porne le basi, ispirando cuochi come François Vatel e Georges Auguste Escoffier, che, grazie all’esempio “italiano”, per quanto l’Italia fosse ancora tutta da “costruire”, riformarono le tradizioni culinarie medievale, traghettandola la tavola francese nella modernità. Non a caso, il secolo di Caterina, è anche quello del “Galateo”, il trattato per eccellenza sulle buone maniere a tavola di Giovanni Della Casa.
Particolare non di poco conto, quello della forchetta nella mise en place rigorosamente con tovaglie damascate, perché le posate, all’epoca, erano comunemente utilizzate solo nelle corti di Firenze e di Venezia. A Parigi, si mangiava ancora con le mani, ma ben presto la novità venne accolta con piacere, così come i piatti giunti a corte direttamente dalla ricca tradizione gastronomica toscana. Tra le tante, vale la pena ricordare il “papero al melarancio”, diventato in Francia “canard à l’orange”, una delle portate del suo banchetto nuziale a Marsiglia, ma già diffusa ed apprezzata a Firenze, anche per via dell’originale abbinamento tra carne e frutta, tipico della cucina araba. Ma anche l’uso dell’olio d’oliva, le salse, come la béchamel, il gelato, le omelette, gli spinaci, i fagioli, i piselli, i carciofi, la pasta, i macarons, le crêpe e, probabilmente, i marron glacé, sono tra i meriti da ascrivere a Caterina de’ Medici che, in cambio, all’Italia, o meglio alla Toscana, “regalò” il Cabernet.
Uva tipicamente francese, tanto che veniva chiamata “Uva Francesca”, il Cabernet trovò a Carmignano il suo primo territorio di domesticazione in Italia. Quando, nel 1716, Cosimo III de’ Medici definì le zone di produzione del Chianti Classico, del Pomino/Chianti Rufina, del Valdarno di Sopra e del Carmignano, nel suo celebre bando citò l’“Uva Francesca”. Che ancora oggi, dopo più di tre secoli, concorre nelle sue due declinazioni - Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon - alla produzione del Carmignano Docg, insieme al Sangiovese e alle altre uve autoctone toscane.
Insomma, l’egemonia che, dal Seicento, la cucina francese conquista sul mondo occidentale ha forti radici fiorentine, più ancora che italiane.
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