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TURISMO SOSTENIBILE

La “Venere influencer” che divide l’Italia: crescono le polemiche sulla nuova campagna dell’Enit 

Costata 9 milioni di euro, c’è chi la accusa di essere kitsch e chi l’apprezza. Ma forse i problemi del turismo di casa nostra sono altri 

Passano i giorni, ma non si placano le polemiche intorno alla nuova campagna dell’ Enit, finanziata dal Ministero del Turismo: la protagonista è, come ormai noto, la Venere di Botticelli, una delle opere d’arte simbolo del Rinascimento e pietra miliare dell’iconografia italiana, che si trasforma in influencer e testimonial - immortalata mentre mangia una pizza al Lago di Como, mentre si scatta un selfie a Piazza San Marco, mentre fa un giro in bici al Colosseo o si mette in posa a Polignano a Mare - per far conoscere al mondo il meglio del made in Italy. A parte l’immediato accostamento con Chiara Ferragni, evidentemente voluto (del resto la Ferragni era già stata nel 2020 agli Uffizi fotografandosi con lo sfondo del dipinto di Botticelli, scatenando un putiferio ma anche un effetto-emulazione, riuscendo a portare nel museo fiorentino un esercito di nuovi e giovani visitatori), la campagna dell’Enit, per noi che conosciamo bene le infinite sfumature territoriali, paesaggistiche ed enogastronomiche dell’Italia, sembra infornare tutta una serie di cliché e luoghi comuni, banalizzando l’infinita ricchezza del nostro Paese e scadendo nel kitsch. Ma forse i problemi del turismo di casa nostra sono altri, e ben più gravi.
A parziale sostegno della Venere che si fa i selfie va sottolineato che il target della campagna non siamo noi, bensì i potenziali turisti di tutto il mondo: in particolare i giovani, Millennial e Generazione Z, che arrivano dagli Stati Uniti, dal Canada, dall’Australia, dalla Corea o dalla Cina. Forse per loro questi stereotipi possono funzionare, perché il turista medio che viaggia per la prima volta in un Paese si basa spesso su luoghi comuni: ci vuole tempo e cultura per cogliere le sfumature. Per farla breve, per un americano in Italia la pizza non è certo prerogativa esclusiva di Napoli.
Non sembra neanche facile comunicare il nostro Paese all’estero, vedendo gli esempi (e i flop) precedenti: da Verybello.it, il sito nato al tempo di Expo 2015 e poi chiuso, ad It’s art, dell’ex Ministro Dario Franceschini (che doveva diventare una sorta di Netflix della cultura italiana), ad Italia.it, portale ideato dal Ministro Francesco Rutelli nel 2004. Però, considerando che la campagna dell’Enit è stata ideata dall’agenzia Armando Testa, una delle più importanti in Italia, ed è costata ben 9 milioni di euro (che serviranno anche a coprire gli acquisti degli spazi pubblicitari negli aeroporti, nelle stazioni e nelle città di molti Paesi del mondo), i dettagli che stanno emergendo, in questi giorni, non possono che suscitare qualche perplessità.
A partire dal claim della campagna, “Open to meraviglia”: a quanto pare nessuno ha pensato a registrare il relativo dominio. Se ne sono accorti i ragazzi di un’agenzia di marketing toscana, che lo hanno prontamente acquistato per pochi euro. Le fotografie utilizzate per le pose della Venere sono state, invece, acquistate su Shutterstock, piattaforma di immagini on line utilizzata abitualmente da qualunque testata o agenzia di comunicazione (l’abbonamento costa qualche centinaio di euro all’anno). Dunque, nessuno sforzo creativo di direttori artistici, fotografi e set fotografici per dare vita ad immagini originali.
E il vino, uno dei punti di forza dell’offerta enogastronomica made in Italy? Unione italiana Vini (Uiv), in una nota, rileva che sia “un peccato che manchi proprio il vino nella nuova campagna globale di promozione turistica del nostro Paese costruita attorno ad una moderna Venere del Botticelli ritratta in diversi luoghi e occasioni tipicamente italiane. Una campagna, lanciata dal Ministero del Turismo con ben 9 milioni di euro, in cui manca proprio il prodotto tricolore in testa nella bilancia commerciale con l’estero tra i comparti del made in Italy tradizionale”.
In realtà un richiamo al vino c’è, nella campagna dell’Enit: nello spot, che sorvola tutta una serie di location famose in giro per lo Stivale, si vede ad un certo punto un gruppo di ragazzi che brindano al tavolo di una cantina. Peccato che la clip in questione arrivi anche questa da una piattaforma straniera di video e immagini stock, Artgrid. La cantina è la slovena Cotar, ed il video è girato da un regista olandese. Come ha scritto ironicamente la giornalista Selvaggia Lucarelli, manca solo il claim: “La cosa più bella dell’Italia? Il treno per Lubiana!”. Una gaffe che ricorda, peraltro, quella della Regione Puglia, di qualche anno fa, in cui per promuovere i vini del territorio vennero usate immagini di vigneti del Cile e della Napa Valley.
Ma la campagna voluta dalla Ministra Santanchè, su cui ognuno sta dicendo la sua, tra sarcasmo e meme divertenti sui social, rappresenta forse il problema minore per il turismo di casa nostra, afflitto da gravi problemi strutturali. A partire dalla carenza di personale - secondo le stime Fipe/Confcommercio per la stagione 2023 mancano oltre 200.000 addetti nel settore della ristorazione, tra camerieri, cuochi e baristi - agli stipendi inadeguati, dalla mancanza di formazione per i giovani al sovraffollamento  di tante mete famose (basti pensare alle Cinque Terre o al Salento), che provoca un cortocircuito tra abitanti e visitatori, come già denunciato da Carlo Petrini, per non parlare di infrastrutture spesso inadeguate e del degrado in cui versano monumenti celebri (dal Colosseo a Pompei). Forse il rischio è proprio il sovraccarico, in un Paese che si colloca al primo posto per patrimonio artistico posseduto ma si basa su un equilibrio delicato e fragilissimo, più che il cercare un esercito di nuovi turisti in giro per il mondo.

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