L’aumento dei listini frena le vendite del vino italiano in Gdo che, nel primo semestre 2023, segnano un calo a volume del 4,6% per i vini fermi e del 2% per gli spumanti, rispettivamente a 316,8 e 41,6 milioni di litri: emerge dai dati del primo semestre 2023 anticipati a WineNews da Circana. Cresce, invece, il giro d’affari, con i vini fermi che superano il miliardo di euro (+2,9%) e gli spumanti che toccano i 279 milioni di euro (+5,9%). Aumenta, ovviamente, il prezzo medio, che arriva a 3,44 euro al litro per i vini fermi (+7,8%), a 5,08 euro al litro per i vini fermi in bottiglia (+8,4%), a 6,70 euro al litro per gli spumanti (+8,1%) e a 7,67 per il Prosecco (+10,4%).
“Il primo semestre 2023 risente in pieno della prima ondata di aumento dei prezzi, adesso bisogna capire se ci sia stata una seconda ondata o meno, e come potrebbe reagire il mercato. Il confronto con il 2022, da ora in avanti, sarà a parità di prezzi”, commenta Virgilio Romano, C.S. Account Director Circana.
“La crescita del prezzo medio è il frutto della media degli aumenti di prezzo, compensata dalle scelte dei consumatori, che hanno lavorato per rispondere all’inflazione, comprando meno, scegliendo marchi che costano meno, cambiando punto vendita e sfruttando le promozioni. In questo processo, comunque l’inflazione è inevitabile, ma l’8% a cui siamo arrivati è sicuramente più bassa degli aumenti medi dei listini che ci sono stati in Gdo. Il risultato è una inevitabile riduzione dei volumi venduti e ad una compressione degli aumenti dei prezzi. Dal punto di vista delle aziende, gli aumenti dei listini erano inevitabili”.
Per quanto i prezzi galoppino, e gli acquisti si contraggano, “i livelli di consumo di vino in Italia restano comunque molto alti, e non vedo un rischio disaffezione. Semmai, diventa più difficile approcciare il vino per i più giovani, ma al di là di rare occasioni, tra chi non ha cultura del bere, non c’è molto da temere, ad esempio, dalla birra. Il processo di sostituzione è complesso, non dipende banalmente dai prezzi. Il pericolo, per certe denominazioni, di “sforare” la fascia di prezzo di riferimento, esiste: se il posizionamento sale nella piramide del prezzo, si restringe automaticamente il numero di potenziali consumatori. Una denominazione che passa da una fascia di prezzo ad una superiore perde qualcosa numericamente, è fisiologico. Chi si posiziona su prezzi più alti, invece, non ha nulla da temere, perché non è una piccola differenza di prezzo a fare la differenza”, conclude Virgilio Romano.
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