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GUERRA COMMERCIALE

Cina, dopo l’antidumping sul brandy teme anche il lusso europeo: fari puntati sui ricavi di Lvmh

La risposta di Pechino ai dazi di Bruxelles scuote il settore. Il terzo trimestre del colosso francese (domani, a borse chiuse) farà da benchmark
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Bernard Arnault: fondatore, chairman e ceo Lvmh

Dopo anni di espansione, l’economia cinese registra alcuni segnali di flessione: al netto dei super ricchi cinesi, con patrimoni sconfinati, le famiglie della classe media, cresciuta esponenzialmente in pochi anni, si scoprono sovraindebitate, pesa la crisi immobiliare e di conseguenza ne risentono i consumi interni. Nel frattempo il Governo cinese, di tutta risposta alla misura dell’Unione Europea di imporre dazi doganali sulle auto elettriche prodotte e in arrivo dal Dragone, ha a sua volta adottato misure antidumping provvisorie sulle importazioni di brandy dall’Europa, diffondendo insicurezza nel settore degli spirits e con conseguenti cadute in Borsa dei titoli anche da parte delle grandi case produttrici della moda. Il timore, infatti, secondo i trader, è che dopo il brandy il prossimo bersaglio di Pechino possa essere il lusso europeo. Alle radici ci sarebbe una “crociata psicologica”, come scrive il “Corriere della Sera” intervistando sul tema l’economista e professore, Lorenzo Gai: una sorta di battaglia contro l’ostentazione occidentale portata avanti dal Partito Comunista e che fa leva sulla pancia dei cinesi che negli ultimi tempi sono in affanno economico per i bisogni primari.
Così, in uno scenario segnato da profonda incertezza per il settore, gli analisti finanziari hanno individuato nell’annuncio dei dati sui ricavi del terzo trimestre di Lvmh (domani, 15 ottobre, a borse chiuse), l’evento chiave per capire gli andamenti futuri del comparto.Il colosso francese che fa capo a Bernard Arnault (e la sua enorme capitalizzazione, di circa 330 miliardi di euro), è considerato un benchmark per l’intero settore del lusso: ormai da anni infatti il noto marchio Louis Vuitton Moët Hennessy è diventato un conglomerato industriale che raggruppa più brand, non solo moda, ma anche hôtellerie, orologi, gioielleria e il settore wine & spirits (con brand che vanno da Moët & Chandon a Krug, da Cheval Blanc a Château d’Yquem, da Ruinart a Dom Pérignon, da Domaine des Lambrays a Veuve Clicquot, da Cloudy Bay a Bodega Numanthia, da Terrazza de Los Andes ad Ao Yun, per citarne alcuni).
Fari puntati quindi sui dati che annuncerà il colosso francese che secondo la banca d’investimento milanese Equita realizza quasi il 20% dei suoi ricavi in Cina, anche se rappresentano solo il 4% dell’Ebit del gruppo (l’utile prima degli oneri finanziari e imposte, ndr), ma le eventuali ripercussioni, stavolta, coinvolgono più attori, tra cui anche le società europee del comparto vinicolo. E secondo gli addetti ai lavori, in ottica futura, la mancanza di concretezza del Governo cinese è quasi più pericolosa dei dazi stessi, con la Commissione Europea che ha annunciato che farà ricorso alla World Trade Organization contro la mossa di Pechino.

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