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SCENARI

Il “climate change” cambia la viticoltura e “alle Dop serve flessibilità per adattarsi”

Studio pubblicato su “Nature Communications”, coordinato da Università Ca’ Foscari Venezia e Eurac Research di Bolzano: Italia tra i Paesi più colpiti
CAMBIAMENTO CLIMATICO, DENOMINAZIONI, EURAC RESEARCH, NATURE COMMUNICATIONS, UNIVERSITÀ CA’ FOSCARI, VITICOLTURA, Italia
Il “climate change” cambia la viticoltura

Non c’è dubbio che una delle sfide più delicate che il mondo del vino si trova ad affrontare è quella relativa ai cambiamenti climatici. Insieme ai consumi che si dirigono altrove, soprattutto da parte delle nuove generazioni, è il tema forse più ricorrente, ma anche più difficile da “mettere a fuoco” per trovare una soluzione efficace. Il cambiamento climatico, infatti, pone una sfida senza precedenti ai viticoltori europei, specialmente alle oltre 1.000 denominazioni di origine protetta, in Italia rappresentate dalle produzioni di vini Doc e Docg (il 35% del totale dell’Unione Europea, la Francia è al 31%). Uno studio pubblicato su “Nature Communications” e coordinato dall’Università Ca’ Foscari di Venezia e da Eurac Research di Bolzano ha mappato, per la prima volta, la vulnerabilità di queste produzioni vitivinicole europee, tenendo in considerazione non solo gli scenari climatici, ma anche regolamentazioni e risorse socio-economiche presenti in ogni regione viticola.
Le denominazioni, spiega una nota dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, rappresentano un sistema legale di tutela e riconoscimento di particolari prodotti, che sono intrinsecamente legati a specifiche aree geografiche, tradizioni e metodi produttivi codificati e quindi potenzialmente difficili da adattare alle nuove condizioni climatiche. Per quanto riguarda l’esposizione al cambiamento climatico, le denominazioni che assisteranno ai cambiamenti più rilevanti si trovano in Romania, Croazia, Bulgaria, Italia e Ungheria.
Aree con una forte influenza oceanica, come Portogallo o le Canarie, o situate a latitudini maggiori, come Belgio e Olanda, saranno esposte a cambiamenti minori. Se si prendono in considerazione le condizioni climatiche storiche legate alle varietà tradizionali nelle varie denominazioni, le regioni dell’Europa meridionale sono quelle che registrano una più alta sensibilità alle variazioni a causa delle norme stringenti sulle varietà coltivabili o perché già vicine al limite massimo di temperatura per cui i vitigni esistenti sono adeguati.
Inoltre, i ricercatori hanno calcolato la capacità adattiva di ogni denominazione, cioè la possibilità che esse hanno di mettere in campo azioni e risorse in grado di far fronte alle nuove condizioni climatiche, tenendo conto di 15 indicatori. Tra i parametri socio-ecologici analizzati, ci sono la struttura della popolazione, la solidità finanziaria, le competenze delle risorse umane, e le caratteristiche naturali del territorio che permettono maggiore adattabilità, che delineano diversi gruppi di regioni vinicole, con diverso grado di vulnerabilità. Il 5% delle regioni vinicole europee rischiano gli impatti più significativi nei prossimi decenni, non solo per le condizioni climatiche, ma anche per l’insufficienza delle risorse per adattarsi: tra queste, gli autori citano il Trebbiano d’Abruzzo e il Lambrusco Mantovano in Italia, e la Sierra de Salamanca in Spagna. Per altri tre gruppi di denominazioni la vulnerabilità è alta, ma non al livello del gruppo peggiore. Si tratta del 25% delle regioni vinicole europee. Includono ad esempio Côtes de Provence (Francia), Conegliano Valdobbiadene Prosecco (Italia), Alentejo (Portogallo) e Rioja (Spagna) e alcune denominazioni in Italia centrale (per esempio Colli Maceratesi e Colline Teramane Montepulciano d’Abruzzo). Nei gruppi a rischio moderato o basso rientra circa il 70% delle regioni, tra queste Côtes d’Auvergne e Alsace in Francia, Rheinhessen in Germania, e Alto Adige in Italia. Per molte di loro a fare la differenza è proprio la capacità di adattamento: potenzialmente avranno le risorse per modificare alcuni parametri, ad esempio salendo di quota o investendo per migliorare delle tecnologie, e resistere ai cambiamenti ambientali.
“Nelle oltre mille indicazioni geografiche europee c’è una grande diversità non solo di condizioni ambientali, climatiche, e lavorazioni, ma anche di valori culturali e tradizioni, e tutto questo contribuisce a definire il terroir di una regione - spiega Sebastian Candiago, che ha lavorato allo studio nel suo dottorato in Scienza e gestione dei cambiamenti climatici all’Università Ca’ Foscari di Venezia e oggi ricercatore all’Università di Bayreuth, in Germania - il cambiamento climatico pone un problema rilevante ai viticoltori, poiché la vite è una coltura perenne e dipende dalle specifiche condizioni del luogo dove è coltivata. Inoltre, non sempre è facile modificare le regole contenute nei disciplinari di produzione. Servirà flessibilità e lungimiranza. Col nostro lavoro abbiamo cercato di comprendere quali regioni vinicole avranno maggiori difficoltà, per far sì che continuino a fornire valore economico, ambientale, culturale e identitario”. In alcuni casi la soluzione può essere un’estensione in quota, l’utilizzo di diverse tecniche di potatura in vigneto, l’introduzione dell’irrigazione, in altri casi, conclude la nota, “servirà cambiare le regole più a fondo. I disciplinari sono fatti per regolare e restare, ma non sono eterni. Lo testimonia il caso di Bordeaux, in Francia, dove di recente è stata introdotta la possibilità di utilizzare varietà come la Touriga Nacional, tipica del Portogallo e quindi adattata a climi più caldi, per una sperimentazione che potrebbe rendere la regione vinicola più resiliente ai cambiamenti futuri”.

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