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ATTUALITÀ

Vini dealcolati, Schenk Italia riporta la produzione nel Belpaese. Investendo sui 2 milioni di euro

La decisione dopo il decreto che ha sbloccato la produzione nel Paese. L’ad Daniele Simoni: “si aprono nuovi scenari interessanti”
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Daniele Simoni, ad Schenk Family Italia

Per ora nei bicchieri di pochi, soprattutto in Italia, se si guarda al complesso dei consumi di vino, ma sulla bocca di molti, soprattutto negli ultimi mesi, i vini dealcolati, secondo tutti gli studi, sembrano destinati a crescere in maniera importante ed in breve tempo, nel prossimo futuro. E ora che si potranno produrre anche in Italia, dopo il decreto in materia firmato a fine 2024 dal Ministro delle Politiche Agricole, Francesco Lollobrigida, nel Belpaese c’è chi investe con convinzione nella produzione, di questa che è ancora una nicchia, riportando la produzione in Italia. Per avere un maggior controllo della qualità, ridurre i costi di produzione che già sono mediamente più elevati rispetto ad un vino “convenzionale” (visto che alla filiera si aggiunge il processo di dealcolazione, ndr) e non solo. Come farà Schenk Family Italia, ramo italiano del gruppo Schenk Family, realtà da 140 milioni di euro di fatturato e 60 milioni di bottiglie che per il 70% finiscono all’estero, Usa, Germania, Est Europa, Nord Europa e Asia in testa, e che fino ad oggi ha prodotto tra le 50.000 e le 80.000 bottiglie di vini e bevande dealcolate in Spagna, commercializzate per il 25% in Italia. E che è pronta a mettere sul piatto un investimento importante, stimabile sui due milioni di euro. Come spiega, a WineNews, Daniele Simoni, ad Schenk Family Italia. “Fino ad oggi, come molti altre realtà italiane, abbiamo dovuto produrre fuori dal Paese, noi lo facevamo in Spagna, con costi aggiuntivi per il trasporto del prodotto. Con questo investimento, che stiamo definendo e sarà operativo dal 2026, contiamo, tra le altre cose, di abbattere più o meno del 20% il costo di produzione dei nostri vini dealcolati, che andranno ad arricchire l’offerta dei nostri marchi più importanti”.
Insomma, una scommessa decisa sul futuro di una tipologia di prodotti che ha fatto discutere nel Belpaese (tanto che l’iter per arrivare al decreto che ne consente la produzione è stato molto più lungo rispetto ad altri competitor europei come Spagna, Francia o Germania, per esempio), ma che sembra destinata a crescere, soprattutto in una fase in cui il consumo di alcol, in generale, è messo in discussione.
“Alcuni mercati, come quelli della Danimarca, del Belgio, della Germania, della Francia e dei Paesi Bassi, dimostrano una crescente attenzione verso i prodotti a zero alcol, o a bassa gradazione alcolica, con un forte interesse a produrli localmente per essere più competitivi. Per l’Italia, tuttavia, la necessità di esportare il vino per la dealcolizzazione e poi reimportarlo, fino ad ora - sottolinea Simoni - comportava costi e complessità che hanno penalizzato il settore. Attualmente, il volume dei vini dealcolizzati rappresenta una quota minima del mercato del vino, pari al 2-3% della produzione totale, fatta eccezione per pochi marchi, e quindi rimane un prodotto di nicchia. La sfida principale consiste nel capire se sarà possibile attrarre quei consumatori che, pur non bevendo abitualmente vino, magari per motivi sociali o per situazioni particolari (ad esempio, guidatori designati o donne in gravidanza), desiderano comunque condividere l’esperienza. Adesso anche in Italia si apriranno scenari molto interessanti sia sotto il profilo delle economie di scala, che ci permetteranno di investire di più sui mercati per far conoscere questi prodotti, sia per quanto riguarda la flessibilità, la velocità e la sostenibilità di produzione. Per far crescere realmente il settore in Italia, occorrerà convincere anche chi tradizionalmente non consuma vino a scegliere un’alternativa più naturale, come il vino dealcolato, rispetto a bevande più economiche e meno naturali. Sebbene la tecnologia consenta oggi di ottenere vini dealcolati di qualità sempre migliore, la differenza di gusto rispetto ai vini alcolici rimane significativa”, conclude Simoni.

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