Il comparto dell’ortofrutta italiana fresca vale più di 17 miliardi di euro, oltre un quarto del totale della produzione agricola nazionale, trainato dalle buone performance di ortaggi e frutta fresca, nonostante la flessione del comparto agrumicolo colpito dalla siccità. L’export (fresco + trasformato), nei primi dieci mesi 2024, ha totalizzato oltre 10 miliardi di euro, +6,12% sul 2023, incidendo per il 17,3% sul totale del valore dell’export agroalimentare nello stesso periodo, superando anche il valore export del vino, e trainato da kiwi, uva da tavola, conserve di pomodoro e nocciole sgusciate, di cui l’Italia è il primo Paese europeo esportatore, mentre mele e cocomeri la annoverano al secondo posto, e insalate, cavolfiori e broccoli al terzo. Sul fronte dei consumi italiani, l’ortofrutta assorbe una fetta importante della spesa alimentare, con una quota percentuale che si attesta al 19,3%, in lieve aumento sul 2023. Gli ultimi dati Ismea fanno registrare un incremento in valore degli acquisti domestici di ortofrutta (fresca e trasformata) del +2,7%, mentre dal punto di vista dei volumi acquistati l’incremento si presenta decisamente più modesto, pari a +0,8%, un segno evidente di un effetto inflativo ancora presente, anche se decisamente più contenuto che in passato. Se per la frutta la spesa cresce del +2,9% con i volumi acquistati che presentano una contrazione di -0,5%, per gli ortaggi aumentano sia gli acquisti in valore che in quantità, rispettivamente del +2,5% e del +2,2%. La Germania si conferma uno dei mercati più importanti per il Belpaese, assorbendo circa il 25% del valore dell’export ortofrutticolo complessivo. In merito alle importazioni, il tasso medio di incremento è +11,22%, una progressione a cui hanno concorso vari fattori, non ultimo le perdite di produzione per avversità climatiche e fitopatologiche. Ne ha risentito, quindi, anche il saldo in valore della bilancia commerciale del comparto, che si è ridotto di oltre 120 milioni di euro sul 2023. Sono i dati divulgati da Confagricoltura, al via di Fruit Logistica 2025, la fiera internazionale che raduna a Berlino gli operatori dell’ortofrutta mondiale (da oggi al 7 febbraio), dove, quest’anno, si confronteranno sull’urgenza di trovare soluzioni per riuscire a produrre, più ancora che commercializzare.
“Sono purtroppo molte le difficoltà che gli agricoltori si trovano ad affrontare - afferma il presidente Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, da Berlino - il cambiamento climatico in primis e le dirette conseguenze che ne derivano, quali la diminuzione della quantità, l’aumento degli scarti e quindi dei costi di gestione, l’incremento dei costi di produzione, ad esempio per l’irrigazione d’emergenza, e che si traducono in una compressione della redditività delle imprese, con conseguenze sull’intera economia”. Il cambiamento climatico sta favorendo, inoltre, il proliferare di diversi parassiti che si sommano alle altre problematiche fitopatologiche che gli imprenditori stanno già fronteggiando da tempo. Tutti questi fattori stanno incidendo in maniera preoccupante sulla propensione a investire degli imprenditori, e talvolta sulla volontà di proseguire la loro attività. Ne è una prova la riduzione progressiva delle superfici investite negli ultimi cinque anni: -23% per le pere, -11% per le pesche, -8% per le nettarine, -7% per le albicocche, e -6% per kiwi e susine, afferma Confagricoltura su dati Istat.
Ma è allarme anche sui prodotti ortofrutticoli arrivati in Italia, comprese spezie e frutta secca, tanto che nel 2024 si sono verificati 165 allarmi alimentari contro i 115 registrati nel 2023: si va dai kiwi argentini ai cachi spagnoli, dai pistacchi iraniani o turchi alle cipolline e ai fagioli egiziani, dai funghi cinesi ai mirtilli tedeschi, tutti bloccati a causa della presenza oltre i limiti di pesticidi, molti dei quali sono vietati in Europa, ma anche di aflatossine, batteri e metalli pesanti, afferma Coldiretti che si dichiara favorevole agli scambi internazionali e punta ad una continua crescita delle esportazioni. “Tuttavia, mentre le nostre aziende sono tenute a rispettare rigorosi obblighi quando esportano, non si comprende perché l’Europa non applichi gli stessi criteri per tutti. Occorre anche armonizzare il sistema relativo all’uso di fitosanitari all’interno dei Paesi dell’Unione Europea, attualmente inadeguata a garantire agli agricoltori italiani parità di regole rispetto agli altri. Un problema che ha concorso a ridurre fortemente il potenziale produttivo favorendo chi può contare su costi di produzione più bassi e utilizza pesticidi da noi vietati. L’Italia è così passata da essere un Paese esportatore ad avere un saldo in volumi negativo, importando più ortofrutta di quella venduta all’estero. Spesso - continua Coldiretti - i frutticoltori nazionali si trovano nell’impossibilità di difendere i propri raccolti a causa della mancanza di sostanze fitosanitarie adeguate (in Italia l’utilizzo di fitofarmaci, si è ridotto del 50% negli ultimi 30 anni e i prodotti utilizzati sono passati da oltre un migliaio a circa 300), mentre tardano ad essere rese disponibili le Tea, le nuove tecnologie non Ogm per il miglioramento genetico”.
“A fronte di questo quadro assai complesso, è quindi assolutamente necessario agire in più direzioni: garantire la reciprocità delle regole nella produzione sia negli scambi che negli accordi; rafforzare i controlli alle frontiere; procedere alla revisione del Green Deal; accelerare sulle New Breeding Techniques (Nbt), ovvero le nuove tecniche di miglioramento genetico; promuovere investimenti indirizzati alla ricerca per sviluppare varietà e innovazioni che consentano di fronteggiare gli effetti delle avversità, climatiche”, aggiunge il presidente Confagricoltura, Giansanti.
Altro tema allarmante è che in Europa sono attualmente in fase di rinnovo 200 sostanze attive utilizzate per la difesa delle colture e ci sono pressioni per la loro revoca. Il presidente della Federazione Agricola di Confcooperative, Raffaele Drei, lancia la richiesta all’Europa di una moratoria sul processo di revoca dei principi attivi, così da evitare il rischio di vedere nei piatti prodotti provenienti da altri continenti, affermando: “l’ortofrutta è il settore più esposto agli effetti dei cambiamenti climatici. Per continuare a salvaguardare gli attuali livelli produttivi occorre una chiara inversione di tendenza rispetto al drastico calo delle sostanze attive autorizzate, indispensabili per la difesa delle colture. La limitazione dei principi autorizzati ha visto in questi anni i nostri produttori impossibilitati a contrastare le diverse fitopatie causate dai cambiamenti climatici che hanno colpito gli alberi da frutta. Tantissima produzione è andata persa. Negli ultimi dieci anni, una coltura come il kiwi, che è strategica anche sui mercati internazionali, si è dimezzata. Le pere sono passate dalle quasi 800.000 tonnellate del 2015 al minimo storico delle 184.000 del 2023. Lanciamo quindi oggi da Berlino la richiesta all’Europa di una moratoria di cinque anni sul processo di revoca dei principi attivi, richiesta intorno alla quale intendiamo cercare la più ampia convergenza da parte dell’intero mondo agricolo e della politica”.
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