
Ma se fosse il Montepulciano un Cerasuolo che non ce l’ha fatta anziché il contrario? Questa piccola provocazione - lanciata dalla degustazione condotta dal wine-coach Filippo Bartolotta dall’Abruzzo, nei giorni di Vinitaly 2025, che si è chiuso ieri a Verona - è utile per rimettere in prospettiva l’interpretazione rosata di un vitigno, che per tanto tempo è stata svalutata rispetto alla sua vinificazione in rosso opulenta, ricca e potente di Montepulciano, che ha raggiunto i mercati del mondo negli ultimi decenni. Invece ora, che è tempo di vini scorrevoli e freschi, il Cerasuolo può finalmente conquistare palati e mercati, ed è quello che sta facendo. La sua produzione annuale è passata, infatti, da 9 milioni a 11 milioni di bottiglie nel 2024, in crescita nonostante il mercato dei rosé abbia raggiunto una sorta di saturazione a partire dal 2021, dopo quindici anni di crescita esponenziale.
Il Cerasuolo d’Abruzzo si comporta curiosamente come il rosato francese: viene consumato per lo più dalla sua stessa regione e questo permette ai produttori di avere un riscontro praticamente immediato dell’indice di gradimento della tipologia da parte dei consumatori (oltre che un’idea di come procedere nella vinificazione in rosso del Montepulciano). Un vino versatile, che si accompagna bene alla varietà gastronomica more-monti che l’Abruzzo offre e che si trova allo scaffale a prezzi decisamente confortanti. Un vino da tutti i giorni e per tutte le tasche, che ha corpo, ma anche snellezza e che si scopre adatto a ogni situazione: freddo in spiaggia o fresco in tavola. Gli abruzzesi l’hanno sempre saputo, ma ora ce ne stiamo accorgendo anche fuori dai confini regionali: quegli 11 milioni di bottiglie prodotte nel 2024 (che sono il 10% dei Montepulciano prodotto nello stesso anno: 110 milioni di bottiglie) proprio l’anno scorso hanno superato la produzione annuale di un altro territorio vocato per il rosato, il Chiaretto di Bardolino, che si è fermato a 10 milioni di bottiglie (seguito dalla Valtènesi, altra zona del Lago di Garda, ma sulla costa bresciana, nota per essere un luogo di elezione per la produzione di rosati).
“Quando mi occupo del Cerasuolo d’Abruzzo non posso che pensare alla leggerezza come la intendeva Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane”, ha esordito Bartolotta: non intesa come superficialità e frivolezza (o inconsistenza, nel caso di un vino), ma assenza di pesantezza (o opulenza, nel caso di un vino), che si traduce in trasparenza, definizione ed accuratezza. Lo stesso mito di Perseo e Medusa raccontato da Ovidio, nato a Sulmo, l’odierna Sulmona (e ripreso da Calvino stesso) è un buon appiglio: per salvare la madre dal corteggiamento del Re di Serifo, Perseo deve uccidere Medusa, la Gorgona dai capelli di serpenti che pietrifica le persone col suo sguardo; essendo figlio di Zeus riceve in dono dagli Dei alcuni strumenti, tra cui degli stivaletti per volare sull’isola di Medusa. “Questi stivaletti sono simbolo di leggerezza “oltre le nuvole” - ha raccontato Bartolotta - ma lo è anche il cavallo alato Pegaso che esce dalla collo mozzato di Medusa, con cui Perseo partirà per diverse avventure. Non solo: dal collo mozzato di Medusa cola anche sangue sotto forma di serpenti, che a contatto con le alghe del mare, si trasformano in corallo”. Un colore che spesso si ritrova nei bicchieri di Cerasuolo, che nulla ha a che spartire con il pallido buccia di cipolla dei rosati provenzali.
Ed è questa l’altra forza che il Cerasuolo d’Abruzzo deve cavalcare per non perdere identità ed essere riconoscibile sul mercato: continuare a definirsi rosato, ma portando con orgoglio una pigmentazione decisa e riconoscibile, che spesso viene definita “il quarto colore del vino”. E che si ritrova evidente - e invitante - nei bicchieri che accolgono negli assaggi WineNews i vini delle 8 cantine proposte da Bartolotta: un doppio viaggio tra annate giovani e vecchie (che dimostrano una sorprendente - ancor più perché non particolarmente cercata - capacità di invecchiamento del Cerasuolo d’Abruzzo) e un viaggio tra le 4 province dell’Abruzzo che - dopo la riorganizzazione della denominazione portata avanti dal Consorzio (come abbiamo raccontato in un video) - possono ora essere anche menzionate in etichetta per le tipologie Superiore e Riserva: Terre di Chieti, Colline Pescaresi, Terre dell’Aquila, Colline Teramane. Un territorio davvero variegato, per 2/3 sopra il 750 metri di altezza, che passa dall’urbanizzata zona costiera, a lunghi tratti montani praticamente disabitati e ricchi di biodiversità (tutelate dai 150.000 ettari di Parco Nazionale della Majella), passando per le colline soleggiate e ventilate, che possono nascondere gole profonde e gelate.
Varietà di geografia, varietà di climi, varietà di suoli, che si riscontrano anche, nei bicchieri di Cerasuolo d’Abruzzo in assaggio: nel colore, come anticipato, ma anche nei profumi, nei sapori e nelle reazioni all’invecchiamento. Lo dimostra la prima batteria di vini giovani, partendo con il Terre di Chieti Superiore 2024 di Fauri (campione da vasca), che passa qualche mese in anfora ed è carnoso, pieno e masticabile, intenso nel suo color rosa canina; il Colline Pescaresi Superiore Pan 2024 di Bosco Nestore, piantato in terreno fresco, più pallido nel colore e lieve nel sapore, ma sempre intenso nelle note floreali, di piccoli frutti rossi ed ematiche; il Terre Aquilane Superiore Testarossa 2024 di Pasetti che grazie alle forti escursioni termiche di Ofena, ha un’intensità di colore esplosiva e una loquacità nel bicchiere esuberante, fatta di volume, succosità e definizione; e, infine, il Colline Teramane Superiore Cortalto 2024 di Cerulli Spinozzi, proveniente dalla vocata e ventilata Docg abruzzese, che ha tensione agrumata e stratificazione aromatica, lunghezza ma anche decisa presenza al palato.
Nel secondo panel i colori tendono uniformemente a virare verso tonalità più aranciate, con intensità però diverse e con presenza gustativa coerente al territorio da cui provengono. Si torna a Pescara, a Loreto Aprutino, con il Cerasuolo d’Abruzzo Fosso Cancelli 2021 di Ciavolich, che fermenta spontaneamente in cemento e si è evoluto verso note di radici e frutta dolce, arricchite da polvere da sparo, senza perdere in centralità e persistenza finale; e sempre da Loreto Aprutino viene il Cerasuolo d’Abruzzo Ros-ae 2018 di Torre dei Beati, vino definito “masochistico” dal produttore per la sua tripla vinificazione, che rimane su aromaticità dolci simili al precedente, risultando, però, più fitto e ruvido e anche più ampio; si torna nel “forno di giorno e fresca di notte - Ofena”, con il Cerasuolo d’Abruzzo Pié delle Vigne 2010 di Cataldi Madonna (prodotto con “tecnica svacata”, 85% vinificazione in bianco, restante in rosso), che conferma la pigmentazione intensa e la reattività al sorso, stratificato e persistente e dalle tonalità autunnali; infine, il Cerasuolo d’Abruzzo 1979 di Valentini, prodotto da solo mosto fiore senza macerazione, che dimostra ancora vivacità e finezza di trama e profumi, una complessità aromatica straordinaria e un’integrità acida e tannica commovente.
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