
In un’epoca in cui la narrazione del cibo è spesso affidata a slogan pubblicitari, format televisivi, e all’universo social, approfondire le radici della nostra cultura alimentare diventa un atto necessario. Andare oltre i falsi storici, i luoghi comuni e le mode gastronomiche significa anche porsi domande curiose e scomode: cosa mangiavano davvero i nostri antenati? Quali pietanze erano sulle tavole al tempo di Dante? Quale è la reale origine dei nomi dei nostri piatti nazionali? E, soprattutto, che linguaggio si usava per descrivere il cibo nei secoli passati? A queste domande cerca di rispondere l’“Atlante della lingua e dei testi della cultura gastronomica italiana” (AtLiTeG), un ambizioso progetto di ricerca che, dalla lingua, prova a raccontare l’identità culinaria del nostro Paese, dal Medioevo all’Unità d’Italia, ideato e coordinato dalla professoressa Giovanna Frosini dell’Università per Stranieri di Siena, insieme alle ricercatrici Chiara Murru (E campus) e Valentina Iosco (Vocabolario Dantesco). Un’opera scientifica che incontra anche la poesia e la potenza evocativa della “Divina Commedia” del Sommo Poeta, Dante Alighieri: l’opera più celebre della letteratura italiana se letta con attenzione, è, infatti, anche un documento prezioso della cultura alimentare medievale (come WineNews racconterà in un nuovo video prossimamente online, ma come abbiamo fatto anche per i 700 anni dalla morte di Dante in un’intervista con il giornalista Aldo Cazzullo, e con i discendenti del Sommo Poeta, i Serego Alighieri, produttori di vino in Valpolicella, ndr).
Tra fame fisica e fame spirituale, tra metafore e immagini concrete, nella “Divina Commedia” Dante ci restituisce un affresco in cui il cibo è simbolo, bisogno, punizione e ricordo. Basti pensare al VI Canto dell’Inferno, dove i golosi sono immersi nel fango “de la piova eterna, maladetta, fredda e greve” al cospetto di Cerbero, e la Vernaccia di San Gimignano è l’unico vino chiamato per nome e per cui perfino un Papa come Martino IV che “purga per digiuno l’anguille di Bolsena e la Vernaccia”, si trova nel Girone (come abbiamo ricordato nel nostro ultimo viaggio tra i vigneti della “New York del Medioevo”); al XXIV Canto del Purgatorio, in cui l’anima di Forese Donati appare emaciata da una fame purificatrice, ma anche a “guarda il calor del sol che si fa vino, giunto a l’omor che della vite cola”, i versi universalmente più belli dedicati al vino perché attraverso la trasformazione dell’uva in vino Dante evoca nel XX Canto sempre del Purgatorio l’anima umana che s’infonde nello spirito della natura: il mistero stesso della vita. Ma non si tratta solo di evocazioni poetiche. Le parole usate da Dante per parlare di alimenti e pratiche culinarie - “pane”, “fame”, “mangiare”, “sazietà” - appartengono a un lessico vivo, che ci aiuta a ricostruire le dinamiche alimentari del Trecento, la loro carica simbolica e il loro peso sociale.
Ed è proprio su questo terreno che si muove il progetto “AtLiTeG-Atlante della lingua e dei testi della cultura gastronomica italiana dall’età medievale all’Unità d’Italia”, uno strumento scientifico che analizza centinaia di testi per restituire il profilo linguistico e culturale dell’alimentazione italiana nel tempo, come è stato spiegato, nei giorni scorsi a San Miniato (Pisa) alla Fondazione Conservatorio Santa Chiara, in un incontro che ha coniugato filologia, letteratura e cultura gastronomico, con Giovanna Frosini, Chiara Murru e Valentina Iosco, e la giornalista Francesca Pinochi, con il patrocinio di Aset. Gli interventi hanno offerto un affondo sul lessico alimentare del Trecento e sui criteri con cui è possibile ricostruire un patrimonio linguistico legato alla tavola e al quotidiano. La declamazione dei canti danteschi è stata affidata alla voce di Riccardo Pratesi, docente di matematica e cantore dantesimale, in rappresentanza dell’Associazione Culter, che ha restituito i versi con una recitazione ritmica e immersiva, capace di evocare l’atmosfera sensoriale e simbolica della “Divina Commedia”. E dai versi al piatto, è seguita una degustazione di pietanze ispirate ai sapori dell’epoca medievale - tra cui lasagne, arista, pane e panettone - preparate grazie alla collaborazione di Gastronomia Nuovo Emporio, del maestro panificatore Pasquale La Rossa di Certaldo, della Torrefazione Caffè Negro di Limite e Capraia e delle aziende vinicole Tenuta Moriano, Tamburini, Villa Bibbiani e Valvirginio.
Copyright © 2000/2025
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2025