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Corriere della Sera

Donne del vino per salvare la maggiorana … Le sorelle Conti rilevano l’attività del padre. L’impegno per recuperare i vitigni storici e una scuola per trasmettere conoscenze...Non è il rosa. A Maggiora, grazioso borgo vinicolo sulle colline novaresi, è piuttosto il rosso a tingere le trame di una storia al femminile. Lo raccontano le sorelle delle Cantine del Castello Conti, che insieme a mamma Mariù hanno raccolto l’eredità lasciata dal papà. Una cantina in un castello in mattoni a coronare l’ostinazione per un vino a lungo invecchiamento come il Boca Doc, piccola nicchia di questo fazzoletto di terra rosso porfido, testimone di un supervulcano fossile. Così nel 2006, dopo studi e percorsi differenti, Elena, Paola e Anna Conti si riuniscono per rilevare l’azienda del padre, che nel frattempo si era ammalato. Nel creare un’etichetta che sintetizzasse il delicato momento di transizione, l’artista Oreste Sabadin ha disegnato figure stilizzate rosse come omaggio alla tenacia femminile. Nasceva il Rosso delle donne in ricordo di un padre che voleva un maschio e si ritrovò invece una casa piena di ragazze. “Nella cultura del passato - racconta Elena - c’era l’idea che l’uomo portasse avanti l’azienda; anche se erano le mogli a seguire i lavori in campagna quando loro erano impegnati. Ma la sua era più l’idea di proteggerci da un futuro di fatiche”. Continua Paola: “In effetti nessuna da giovane s’immaginava con le mani nella terra”. Tantomeno se ti metti in testa di preservare una tecnica ormai quasi abbandonata perché poco redditizia ed esclusivamente manuale. Così, dal 2012 accanto alla produzione dei rossi più blasonati, le sorelle Conti si dedicano anche al recupero di vigneti storici coltivati a maggiorina. Questo sistema perfezionato dall’architetto Antonelli, nativo della zona, disponeva la vite secondo uno schema quadrato con esposizione ai 4 punti cardinali. Una tradizione nota solo qui e ormai quasi scomparsa. Almeno fino a oggi, quando si è compreso il valore immateriale di questo piccolo mondo antico anche grazie alla tenacia di un’altra donna, Clio Pescetti, presidente Club per l’Unesco Terre del Boca. “La maggiorina - dice - è un patrimonio da salvaguardare, un vero e proprio monumento all’abilità e sapienza dei vignaioli che, nei secoli, per coltivare la vite in un territorio aspro e difficile hanno saputo creare una tipologia di allevamento unica e per questo fortemente identitaria del territorio. Nel 2023, ci siamo fatti promotore per costituire una Comunità patrimoniale con lo scopo di salvaguardarla e favorirne nuovi impianti. E si sta predisponendo un progetto didattico che ne vedrà la realizzazione nel campo dell’Istituto Agrario Bonfantini, a Romagnano Sesia: una grande opportunità per trasferire le competenze dei vignaioli esperti in maggiorina ai giovani allievi”. Del resto, sottolinea Elena Conti, “non esiste un manuale, questa è una tradizione trasmessa oralmente. Ciò che sappiamo deriva dai racconti degli anziani che ancora le curano. Nelle nostre ricerche abbiamo trovato piante di quasi cent’anni con radici di tinturier, uva che conferiva colore al vino, insieme a varietà antiche e locali tipicamente piantate insieme. Lo scopo? Non puntare solo su un unico uvaggio e dare diverse sfaccettature al vino. Con questo portamento, poi, la pianta è più arieggiata, i tralci allungati e sembra quasi di esserne abbracciati”. Le fa eco Paola: “Quando sei abituato al monovitigno, curare una maggiorina è un po’ come uscire da uno schema accogliendo la diversità. In fondo, prendersi cura della vite è anche prendersi cura della vita”. Già, le donne del vino lo sanno, e il rosso qui è il loro colore.

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