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L’ALLARME

Crisi climatica e fame: 96 milioni di persone colpite nel mondo nel 2024 (+33% sul 2023)

Così l’“Indice Globale della Fame” 2025 del Cesvi. Fao: “invertire solo il 10% del degrado umano sul suolo, potrebbe nutrire 154 milioni di persone”
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Nel 2024 96 milioni di persone nel mondo sono state colpite da crisi climatica e fame

La crisi climatica sta erodendo le basi della sicurezza alimentare mondiale, spingendo milioni di persone verso la fame acuta. Secondo l’Indice Globale della Fame (Global Hunger Index - Ghi) 2025, redatto dalle Ong Welthungerhilfe (Whh), Concern Worldwide e Institute for International Law of Peace and Armed Conflict (Ifhv), e curato dall’organizzazione umanitaria italiana Cesvi per l’edizione italiana, nel 2024 sono state colpite 96 milioni di persone in 18 Paesi, 24 milioni in più sul 2023 (+33%) e oltre tre volte i 28,7 milioni del 2018 (+234%), con un aggravamento senza precedenti della crisi climatica e alimentare globale.
Gli eventi climatici estremi, seconda causa di malnutrizione dopo i conflitti, hanno raggiunto livelli record: 393 disastri naturali hanno coinvolto 167 milioni di persone, causando oltre 16.000 vittime e danni per 241 miliardi di dollari.
 Ma spesso guerre e crisi ambientali si sovrappongono, come nella Striscia di Gaza, dove due anni di conflitto hanno provocato danni ecologici senza precedenti: il 97,1% delle colture arboree e l’82,4% di quelle annuali, il 95,1% della macchia arbustiva e l’89% dei terreni erbosi o incolti sono distrutti e il suolo è contaminato da munizioni, rifiuti solidi e acque reflue non trattate, mentre oltre 61 milioni di tonnellate di macerie presenti attualmente nell’area, in parte contaminate da amianto e sostanze chimiche industriali, una cifra 20 volte superiore al totale cumulativo di tutte le guerre precedenti a Gaza dal 2008, rendono impossibile la produzione alimentare e aggravano il rischio di alluvioni. Le riserve idriche sono quasi esaurite e gran parte dell’acqua rimasta è inquinata, delineando una crisi che richiederà decenni per essere arginata.
Anche il Corno d’Africa e il Pakistan sono tra le aree più colpite: siccità prolungate e inondazioni devastanti hanno aggravato la vulnerabilità sociale, con Etiopia, Kenya e Somalia che, secondo l’Indice Globale della Fame 2025, registrano livelli di fame da grave (Etiopia e Kenya) ad allarmante (Somalia). Nel Corno d’Africa la malnutrizione non è solo una conseguenza della crisi climatica, ma il suo riflesso più drammatico: ogni stagione secca riduce la produzione alimentare, fa salire i prezzi e indebolisce la resilienza delle comunità, rendendo la ripresa sempre più difficile. Dopo tre anni di siccità senza precedenti (2020-2023), che hanno devastato i mezzi di sussistenza pastorali in Etiopia meridionale, nelle aree aride del Kenya e nella maggior parte della Somalia, nel 2024 quasi 50 milioni di persone hanno sofferto di insicurezza alimentare acuta. In Somalia, il Paese con il livello di fame più grave al mondo, le famiglie che hanno segnalato siccità o stress da calore come principale shock climatico sono passate dal 4% nel 2021 al 45% nel 2023, mentre in Etiopia la combinazione di siccità, conflitti e inflazione continua a ostacolare l’accesso al cibo e ai servizi essenziali. In questo contesto, Cesvi è impegnata con interventi salvavita e progetti di resilienza: in Somalia opera a Mogadiscio e nel Lower Shabelle per prevenire e curare la malnutrizione e rafforzare le comunità vulnerabili; in Etiopia interviene nella Regione dell’Oromia e nel Sud del Paese per garantire accesso all’acqua, riabilitare pozzi e promuovere agricoltura sostenibile e attività generatrici di reddito, valorizzando il ruolo delle donne e la coesione comunitaria per trasformare le sfide ambientali in opportunità di pace e sviluppo.
In Pakistan, uno dei Paesi più colpiti al mondo dagli effetti della crisi climatica e classificato dal Ghi 2025 con un livello di fame grave, fenomeni meteorologici estremi e malnutrizione si alimentano a vicenda. Dopo le esondazioni che nel 2022 hanno sommerso un terzo del territorio e colpito oltre 33 milioni di persone e le alluvioni del 2023, il 2025 è segnato da una stagione monsonica violentissima: piogge eccezionali tra luglio e settembre hanno provocato inondazioni e frane nelle province di Balochistan e Sindh, colpendo 6,9 milioni di persone e causando più di 1.000 vittime, mentre temperature superiori ai 45 gradi e siccità prolungate hanno aggravato la crisi agricola. Gli effetti combinati di eventi climatici estremi, povertà diffusa e fragilità dei servizi hanno generato una crisi nutrizionale di lunga durata: oggi il 40% dei bambini sotto i cinque anni soffre di malnutrizione cronica, 2,2 milioni di persone sono colpite da malnutrizione acuta grave e oltre 11,8 milioni vivono in condizioni di insicurezza alimentare acuta. In questo scenario, Cesvi, attiva in Pakistan da molti anni con interventi umanitari e di sviluppo per rendere le comunità più vulnerabili resilienti e autosufficienti, è intervenuta nel distretto di Buner per fornire aiuti immediati e sostenere la ripresa. L’organizzazione ha operato con attività di ricerca e soccorso, distribuzione di foraggio e sementi, riabilitazione delle infrastrutture idriche e campagne di igiene e prevenzione sanitaria per ridurre la diffusione della dengue. Inoltre, Cesvi offre supporto economico e formazione per migliorare la sicurezza alimentare e i mezzi di sostentamento delle famiglie vulnerabili, implementando piani di adattamento climatico e gestione del rischio, coinvolgendo attivamente le comunità e sperimentando modelli agricoli sostenibili.
Cesvi, alla vigilia della Cop30 di Belém, lancia un appello urgente: “i dati del Ghi 2025 mostrano con chiarezza come gli eventi climatici estremi stiano amplificando in modo drammatico l’insicurezza alimentare, colpendo milioni di persone già vulnerabili - avverte il dg Stefano Piziali - è indispensabile implementare immediatamente politiche di resilienza climatica efficaci, sostenere investimenti nei sistemi alimentari sostenibili e garantire finanziamenti adeguati per l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici, soprattutto nei Paesi più fragili. La Cop30 rappresenta un’occasione decisiva per riaffermare la responsabilità collettiva di fronte a un rischio sistemico che incide sulla stabilità economica globale e sulla giustizia sociale e per fornire risposte concrete, coordinate e immediate”.
A denunciare ulteriormente la situazione, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) lancia un allarme sul degrado del suolo, una crisi silenziosa che sta minando la produttività agricola e la sicurezza alimentare globale. Secondo il rapporto “Lo Stato dell’alimentazione e dell’agricoltura (Sofa 2025)”, pubblicato nei giorni scorsi, circa 1,7 miliardi di persone vivono in aree dove le rese agricole sono diminuite del -10% a causa del degrado del suolo di origine umana. Questo fenomeno non è solo ambientale, ma incide direttamente sui mezzi di sussistenza rurali, sulla povertà, fame e sulla malnutrizione. Tra le persone più vulnerabili, il rapporto indica 47 milioni di bambini sotto i cinque anni che soffrono di arresto della crescita, mentre i Paesi asiatici risultano i più colpiti per l’elevata densità di popolazione e il debito di degrado accumulato.
Il degrado del suolo, che interessa aziende agricole di ogni dimensione, è causato da una combinazione di fattori: erosione e salinizzazione del terreno, deforestazione, pressioni di origine umana che sono sempre più dominanti, eccessivo pascolo e pratiche di coltivazione e irrigazione insostenibili. Per misurare il degrado, il rapporto applica un approccio basato sul “debito ecologico”, confrontando i valori attuali di carbonio organico del suolo, erosione e disponibilità idrica con le condizioni che esisterebbero senza l’attività umana. Tuttavia, il rapporto offre anche una prospettiva di speranza: invertire solo il 10% del degrado di origine umana sui seminativi, adottando pratiche di gestione sostenibile del suolo, potrebbe ripristinare una produzione sufficiente per nutrire ulteriori 154 milioni di persone ogni anno. Per raggiungere questo obiettivo, la Fao sollecita strategie integrate di uso del suolo e interventi politici mirati, comprese misure normative contro la deforestazione, programmi basati su incentivi e meccanismi di condizionalità che colleghino i sussidi ai risultati ambientali.

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