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A LEZIONE DI CUCINA IN CARCERE PER UN FUTURO DA CUOCO: CORSI DI SLOW FOOD PER DETENUTI A TORINO

I sapori della buona gastronomia e degli ortaggi biologici arrivano nei penitenziari e portano ai detenuti, partecipanti ai primi corsi in carcere di cucina, pasticceria e gestione di allevamenti, la speranza di nuovi mestieri da svolgere, una volta scontata la pena. Corsi di torrefazione sono appena stati attivati dalla direzione del penitenziario torinese Le Vallette e da Slow Food, così i carcerati imparano un buon mestiere e l'import diretto di due miscele guatemalteche, selezionate al Salone del gusto e Terra tra i presidi internazionali, sosterrà i piccoli produttori dell'altopiano centroamericano. La miscela della torrefazione gestita dai detenuti arriverà in commercio a metà maggio con un marchio commerciale che sarà definito nei prossimi giorni. I detenuti del carcere di Volterra sono i protagonisti delle “Cene dell'impossibile”, preparate con i prodotti dei presidi Slow Food in occasione della rassegna teatrale promossa dalla “Compagnia della Fortezza”. Non solo cibo ma anche il recupero di lavorazioni artigianali guidano le iniziative dell'associazione di gastronomi fondata da Carlo Petrini tra le mura delle carceri italiane. A Biella, per creare un raccordo con la locale tradizione tessile, sono previsti lezioni di tessitura durante le quali i detenuti produrranno gadget e shopper Slow Food. Obiettivo comune delle iniziative nelle case circondariali è l'impiego proficuo del tempo di detenzione al fine di costruire nuove professionalità e facilitare il reinserimento sociale dopo la pena. "Se all'interno dell'istituto di detenzione entra qualcosa del mondo esterno attraverso la Tv - osserva il presidente Slow Food Carlo Petrini - è molto più difficile il percorso inverso. Soffermarsi a parlare di gastronomia dietro le sbarre può quindi favorire la comunicazione fuori e dentro la casa di pena".
I pregiudizi tra consumatori e carcerati sembrano non esserci a Venezia, dove sette detenute dell'istituto di pena della Giudecca, riunite nella cooperativa “Rio tera' dei pensieri” usufruiscono dell'articolo 21 per vendere tutti i giovedì fiori, verdura biologica e aromi in un banchetto davanti al penitenziario femminile che ha sede nell'ex convento delle Convertite. In dieci anni le detenute, particolarmente orgogliose dell'asparagiaia e della carciofaia, hanno trasformato oltre 6.000 metri quadrati di terreno incolto in un "orto delle meraviglie", festeggiato ogni anno a settembre in una tradizionale giornata di apertura occasione di conoscenza di questa piccola realtà produttiva in laguna. Sono inoltre una quindicina le detenute che ogni anno partecipano ai corsi di ortofloricoltura, finanziati dalla Regione Veneto e dal progetto Urban Italia. Il diario dell'esperienza della cooperative di detenute della Giudecca è raccolto nel volume “Lavori in corso”, edito dalla Libreria Editrice Cafoscarina, mentre il libro "Il gambero nero - ricette dal carcere", edizioni DeriveApprodi, narra, con foto di Davide Dutto e testi di Michele Marziani, l'arte di arrangiarsi ai fornelli dei detenuti che organizzano convivi multietnici perché, anche senza coltelli né frigobar, il cibo aiuta, unisce e non è un piacere proibito come tanti altri. Ma se, come affermava la canzone di Fabrizio De André, "anche in carcere il caffé lo sanno fa", l'enogastromia in cella può diventare un business, come conferma l'esperienza dei detenuti della Casa circondariale di Velletri, riuniti nella Piccola società cooperativa Lazzaria, per produrre 12.000 bottiglie di vino, vendute in esclusiva nei supermercati Coop, con un giro d'affari di circa 100.000 euro e soprattutto un concreto progetto di recupero sociale.

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