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Affari & Finanaza / La Repubblica

I prodotti a marchio nuovo business nel tempo della crisi ... Il giro d’affari delle “private label” in Italia ha raggiunto nel 2011 i nove miliardi di euro con la quota di mercato in crescita al 17%. Un vero boom che si basa, ormai, non solo sul prezzo ma sulla qualità sempre più alta dei prodotti ... Nove miliardi di euro: è il giro di affari registrato, in Italia, lo scorso anno dalla marca commerciale nel comparto del largo consumo confezionato (Lcc). Il private label ha così raggiunto una quota di mercato del 17,2%, per effetto di un incremento delle vendite a valore del 7,1% rispetto al 2010, in linea con gli ultimi anni. Incremento riportato in tutte le aree della penisola, escluse Campania e Lazio, e in tutti i canali distributivi. Un dato decisamente positivo, soprattutto se paragonato al trend registrato dalle marche industriali (+1,5%) nello stesso periodo. Il dato emerge dall’ultimo rapporto annuale sull’evoluzione della marca commerciale, presentato lo scorso 19 gennaio in apertura di Marca by Bologna Fiere. “Quello che si evince dal report è un dato significativo perché conferma un forte consolidamento delle quote della marca del distributore e fotografa la crescente credibilità che si è radicata, anno dopo anno, tra i consumatori italiani: dal 2007 al 2011, considerando per ogni anno il mese di agosto come deadline, la quota di vendita a valore dei prodotti di marca privata è cresciuta dal 13% al 16,1%, contro un decremento della quota di vendita delle marche industriali dall’87% all’83,9%”, sottolinea Guido Cristini, ordinario di marketing all’Università di Parma e coordinatore scientifico dell’Osserva- tono sulla marca commerciale. Credibilità, secondo l’esperto, che assume maggiore rilevanza se si considera il dato sul differenziale medio di prezzo tra i prodotti privati e industriali registrato negli ultimi due anni nei principali mercati europei (Fonte SymphonyIri). “In Italia la differenza del valore è vicina al 23-24% - osserva Cristini - Questo significa che i consumatori scelgono i prodotti di marca commerciale, nonostante il prezzo non sia così tanto inferiore rispetto a quello dei prodotti industriali. Se si considerano gli altri mercati europei, possiamo notare che quello italiano si avvicina al mercato inglese, dove la media è del 2O%, per contro è molto distante da quello tedesco dove la media si abbassa fino al 40%. In sostanza - aggiunge l’esperto - i prodotti di marca commerciale italiani e inglesi non vengono scelti solo in funzione dei prezzo ma soprattutto della qualità, perché di fatto sono considerati di livello Premium; mentre i prodotti di marca tedeschi vengono scelti solo in funzione della convenienza, perché sono considerati di livello Primo Prezzo”. In termini di tipologie di marca commerciale, mentre quella Insegna, che pesa in valore l’82,7% (- 1% sul 2010), continua a detenere la maggiore penetrazione delle vendite nel Lcc, sono infatti le Premium a trainare la crescita complessiva delle distribuzione dei prodotti a marchio privato, registrando un consistente incremento delle vendite, +23,5%. Incremento meno consistente ma, comunque, importante è stato riportato anche dai prodotti Bio e Primo Prezzo, rispettivamente del 9,1% e del 9,8%. Per quanto riguarda la geografia delle vendite della marca commerciale, il Nord Ovest si conferma l’area che genera più dii /3 delle vendite totali, con una quota di mercato del 16,3%, pari ad una spesa media familiare di 361 euro l’anno su un totale, a livello nazionale, di 310 euro. Si conferma anche nel 2011, invece, la maggiore penetrazione della marca privata del Centro Italia che raggiunge il 17,6% (348,7euro l’anno), e nel Nord Est, che registra una quota del 17,9% (409,4 euro l’anno). Infine, nonostante la crescita riportata nell’ultimo periodo, persiste una debolezza nelle aree del Sud dove le vendite realizzate pesano per un 11,6% (162 euro l’anno). Analizzando poi l’evoluzione delle vendite della marca commerciale nelle aree territoriali, la crescita è così suddivisa: Nord Ovest +8,5%, Nord Est +7%, Centro-Sardegna +4,6% e Sud +8,4%. A livello regionale, le performance negative sono riportate solo in Campania e Lazio, - 0,6% e - 0,2%. Altro dato da non sottovalutare è il profilo del consumatore italiano che acquista prodotti di marca commerciale: è una famiglia di 4-5 componenti, la scolarità è di livello medio-superiore e la classe economica è medio-alta. Circa il quadro evolutivo dei canali di vendita, il private label continua ad avere due principali canalizzazioni: supermercato e ipermercato. Ma, negli ultimi due anni, si nota tuttavia che altri canali si stanno rivelando vincenti: discount, superstore e drugstore. Mentre continuano a perdere terreno i canali considerati mini, micro e tradizionali. In termini di ripartizione delle vendite per reparto merceologico,l’ortofrutta, il fresco e il freddo, nell’ordine, risultano i reparti più performanti, se confrontati con la media di mercato; questi registrano anche la maggior crescita della quota di vendita della marca commerciale rispetto al 2010.
Ultimo dato: negli anni precedenti abbiamo assistito anche ad una crescita molto consistente della promozionalità della marca commerciale, che però nel 2011 si è sostanzialmente stabilizzata. Ciò nonostante, i primi 8 mesi dello scorso anno evidenziano un ulteriore aumento della pressione promozionale del Lcc. Non solo: la difficile congiuntura economica, che ha indotto maggiormente i consumatori alla prova dei marchi insegna, e gli sforzi operati dalla Gdo hanno contribuito al miglioramento della percezione da parte dei consumatori. Gli italiani riconoscono alla marca privata un ottimo rapporto qualità/prezzo e non per questo ritengono che sia adatta unicamente alle famiglie con budget di spesa più contenuti (18% vs la media europea di 33%). Un quarto della popolazione italiana ha dichiarato, infatti, che mediamente la qualità dei prodotti a marchio privato è uguale o molto simile a quella dei brand più famosi. Inoltre, una fetta molto più consistente della popolazione italiana rispetto a quella europea (43% vs 35%) ritiene che alcune marche commerciali abbiamo una qualità molto più alta rispetto alle corrispondenti marche industriali.

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