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Affari & Finanza / La Repubblica

Dagli Usa in India, vino a tutto marketing ... Un bel calice di Amarone con l’anatra alla pechinese, ma anche con il brasato di maiale e con il filetto di piccione fritto; per l’agnello arrosto, o il brasato di montone con bambù e funghi o con l’anatra arrosto, ma alla Cantonese, meglio un Barolo o un Barbaresco. Il Sangiovese si accompagna bene con l’arrosto di maialino, con il pollo in salsa di soia e il brasato di anguilla gigante con lombo di maiale. Primitivo di Manduria e Taurasi per maiale al vapore con sottaceti e taro, pollo fritto e filetto di manzo in salsa di ostrica; bianchi floreali secchi per oca arrosto con salsa di prugna, gamberi fritti e zampone di maiale; e ancora: bianchi fruttati con frutti di mare al vapore o bollito di maiale freddo; bianchi barricati per pinna di squalo in brodo, aragosta con salsa di fagioli neri e formaggio; Franciacorta per granchio peloso cotto a vapore, pollo arrosto con salsa di prosciutto e minestra con melone invernale. Vino italiano e cucina cinese: trovato l’abbinamento giusto, impresa a prova di sommelier ultraspecializzato, il matrimonio è fatto. E sull’abbinamento giusto ha puntato il Vinitaly di Verona che per il settimo anno consecutivo ha aperto i battenti a Shanghai, una delle nuove, promettenti vetrine per far conoscere e vendere il vino italiano nel mondo.
«La nostra funzione è sostenere il made in Italy ed essere lo strumento per attuare le politiche regionali e nazionali, in un’ottica di sviluppo del settore. Per questo la Fiera di Verona, che ogni anno organizza e ospita in media 35 manifestazioni, sia in Italia che all’estero, ha predisposto dal 2003 un piano di sviluppo industriale e delle infrastrutture per un investimento complessivo di 140 milioni di euro», ha detto Luigi Castelletti, presidente di Veronafiere, nel corso di un incontro a Bruxelles dedicato alla presentazione del sistema agricolo e agroalimentare italiano. Dai prodotti alle tecnologie ai vini, il made in Italy in questo ambito è ancora un brand di prestigio. E l’AgriValley, come è stata ribattezzata Verona, è una delle punte di diamante nel tenere alto i marchi italiani. Soprattutto per il vino, che negli ultimi anni ha cominciato a risentire della crisi dei consumi e della concorrenza di nuovi paesi produttori, come Cile, Australia, Argentina, Nuova Zelanda e Sud Africa.
Ma l’Italia non è rimasta a guardare. E da Verona è partita già da anni la campagna per il sostegno del nostro export. A partire dagli Usa. Un mercato che continua a restare il più importante. Entro il 2008, dicono le rilevazioni di DataBank, gli Usa saranno il primo paese per consumo di vino. Ma, segnalano i ricercatori dell’istituto, soggetto alle mode e in continua espansione, va attaccato con strategie di marketing mirate. Ecco allora che da Los Angeles a Boston, da Chicago a New York, da San Francisco a Miami, il Vinitaly ha avviato una serie di tour che, tra workshop, degustazioni e altre iniziative pensate su misura per le diverse città puntano a rafforzare l’immagine del prodotto italiano. Che sta incrementando le sue quote: secondo i dati di Iwfi di New York, nei primi 8 mesi del 2005 le importazioni di vino italiano sono aumentate in volume del 10% e in valore del 16%, segno che cresce la richiesta di prodotti di qualità.
Il 2005 è stato il primo anno del Vinitaly a Mosca, altra piazza promettente, con un incremento del 40% dei vini italiani venduti nel 2004. E a maggio si ripeterà l’appuntamento, che ha già segnato il tutto esaurito. Il "3 bicchieri", enoteca che propone vini al bicchiere in abbinamento al cibo giusto, è una delle mete più di tendenza tra i russi. Un paese dall’elevato potenziale, ma non alcune barriere che rischiano di frenare la vendita di vino. «Il ricarico dei ristoratori, che a volte raggiunge il 600 per cento», ha segnalato alla fiera Anatoly Korneyev, vicepresidente dell’Associazione russa dei sommelier, titolare di un’azienda di importazione di vini che ha in portafoglio 60 aziende italiane tra le più conosciute.
Dall’est Europa all’Oriente, la carica dei produttori italiani è diretta ora alla conquista delle tavole dei cinesi e degli indiani, dove il vino ha cominciato ad approdare solo da poco tempo. Tè, birra, baniju, sono altre le bevande che finora hanno dominato i simposi orientali; ma la voglia di occidentalizzazione riguarda tutti gli status symbol, dalla moda al cibo fino alle bottiglie di grande livello. Dopo sette anni di presenza a Pechino e Shanghai, il Vinitaly, lo scorso novembre, ha aperto le porte anche ai produttori stranieri: un segnale chiaro delle potenzialità estreme di questo paese dove la domanda interna cresce con un ritmo del 50 per cento all’anno a partire dal 2001. Sono 50 milioni i consumatori di bevande alcoliche, dicono le rilevazioni del governo cinese, 33 milioni sono bevitori di birra, 14 milioni di distillati, e solo 8 milioni bevono vino: ma sono destinati a diventare 120 milioni, secondo le proiezioni elaborate sulla crescita potenziale delle fasce sociali più abbienti.
In questo paese, cosi grande e popolato, le fiere sono come un sasso gettato nello stagno: la prima mossa attorno a cui costruire una serie di iniziative in grado di amplificare con effetto domino la loro portata. Una delle leve a cui si guarda per far impennare le vendite è estendere al massimo la rete distributiva e raggiungere così l’intero territorio. Senza contare il bombardamento pubblicitario tra tv, radio, quotidiani, riviste specializzate e Internet.

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