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Affari & Finanza / La Repubblica

Enogastronomia, il “boom” delle eccellenze ... dall’olio al vino, dai salumi ai formaggi i prodotti tipici del nord ovest fanno registrare crescite a due cifre soprattutto nei mercati esteri. ma grandi e piccoli marchi sono insidiati dall’esplosione dei falsi e dai vincoli burocratici ... La parola d’ordine è tutelare. Dalla burocrazia, dalla contraffazione, persino dalla siccità. In Liguria i produttori d’olio, in questi giorni, stanno a naso in su per scrutare, nell’ordine, cielo e olive, in attesa della pioggia. Gli oltre quattro mila quintali di olio prodotti dal consorzio ligure l’anno scorso sono quasi finiti e la raccolta fa ben sperare. A patto però che piova. La maggior parte delle bottiglie esce dai confini regionali per migrare verso tavole e negozi internazionali. E il caso del frantoio Roi che fino a qualche anno fa spediva all’estero, soprattutto Stati Uniti, l’87 per cento delle sue bottiglie. Ora anche il mercato italiano è in ripresa, spiegano dal Frantoio Benza, e la crisi sulle piccole produzioni di nicchia ha colpito poco. A costringere alla resa alcuni frantoiani potrebbe però essere la mole di burocrazia richiesta da un anno a questa parte: “Il nuovo sistema di registri è pensato apposta per uccidere i piccoli, qualcuno. nei prossimi mesi alzerà le braccia» accusa Franco Boeri, della ditta Roi e tra i fondatori del consorzio ligure «per starci dietro servono quattro persone in ufficio e due in frantoio” ironizza. Dal ministero dell’Agricoltura però fan capire che è tutto fatto per evitare la contraffazione. “L’enogastronomia italiana vale 50 miliardi di euro all’anno, ma la domanda, soprattutto all’estero, è quasi doppia” spiega il sottosegretario alle Politiche Agricole, Roberto Rosso. E punta su prodotti specifici e di qualità: “Per vino, latte e formaggi il mercato chiederebbe 15/20 volte in più di ciò che è prodotto”. Un vero e proprio boom del made in Italy che è sinonimo, in questi tempi, anche di bollicine. In Piemonte come in Lombardia. Sulle colline di Langa e del Monferrato, da dove vengono le 100 milioni di bottiglie prodotte tra Asti spumante e Moscato. Soprattutto quest’ultimo sta crescendo a «ritmi impetuosi», come sostiene il produttore di Castiglione Tinella (At) Paolo Saracco. “Negli ultimi dieci anni siamo passati da 5 milioni di bottiglie a 25 milioni che vendiamo soprattutto all’estero e in particolare negli Stati Uniti». Oltreoceano quel vino dolce, a bassa gradazione, si beve come aperitivo o per una serata tra amici e non viene relegato ad accompagnare torte e panettoni come accade in Italia. Sulle tavole nazionali si predilige il vino secco. Anche tra gli spumanti. Lo confermano i dati della Franciacorta, la nostra Champagne lombarda, le cui bollicine sono per ora, però, molto più apprezzato “in casa” che altrove. Del consorzio bresciano fanno parte 106 aziende per quasi tremila ettari di filari. “Cresciamo a due cifre - conferma il vicepresidente del Consorzio Silvano Brescianini - rispetto all’anno scorso siamo a un più 15 per cento e per noi il meglio deve ancora venire”. Il riferimento è al periodo di Natale e delle feste di fine anno quando gli spumanti vanno di gran moda. La stima sulla vendemmia di quest’anno è di raggiungere i 270 mila quintali di vino, in crescita di quasi il 20 per cento rispetto ai l0 milioni e mezzo di bottiglie dell’anno scorso. Anche i rossi di Langa, Barolo e Barbaresco prima di tutto, stanno meglio rispetto al passato. “Due anni fa il mercato dei vini rossi ha sofferto i contraccolpi della crisi - ammette Piero Quadrumolo amministratore delegato di Terre da Vino - quest’anno la nostra stima è migliore rispetto all’anno scorso, con una crescita del 5 per cento sulla produzione e del 10 per cento sul fatturato”. A far sorridere, come nel caso del Moscato, soprattutto i mercati esteri: gli Stati Uniti hanno ricominciato a correre e quindi a bere e si vende qualcosa anche in Cina, Russia, Brasile e sui piccoli mercati emergenti. E poi c’è la ripresa dei consumi locali legati soprattutto al turismo enogastronomico. Vanno bene Barolo e Arneis. Molto meno il Dolcetto che non ha mai sfondato all’estero e fa fatica a conquistare i palati italiani. Anche per il futuro le prospettive sono buone. Ca’ Viola, una delle cantine più famose (il suo Barolo, prodotto per la prima volta quest’anno, ha già ricevuto riconoscimenti dal Gambero Rosso a da Slow food) sfornerà, grazie a una vendemmia molto buona, 55 mila bottiglie che finiranno per metà sui mercati esteri. Ed è proprio la vendita fuori casa a “infastidire” Oscar Farinetti, il padre di Eataly, ma anche produttore di Barolo a Fontanafredda. “Il nostro vino va benissimo - spiega - cresciamo dell’i 1%, ma solo grazie all’estero. Va benissimo, mami dispiace perché in Italia tendiamo sempre ad aspettare la prossima volta per stappare una bottiglia”. Ciò che non può il mercato può il marketing. Per “esorcizzare” un vino difficile e spesso considerato troppo “autorevole” a novembre riparte la campagna di Farinetti per un bicchiere di Barolo a 5 euro in centinaia di ristoranti. “In America funziona così: impariamo da loro, perché proprio non mi va giù di non riuscire a far apprezzare in Italia ciò che è così amato all’estero”.


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