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Affari & Finanza / La Repubblica

Dai vini ai dolci: ecco i gioielli da esportazione ... L’agroalimentare è sempre più una forza trainante dell’economia: un giro d’affari da 11 miliardi e un terzo destinato oltreconfine. Abbona (confindustria): “i nostri prodotti conquistano il mondo ma c’è un rischio” ... Vino ma non solo. L’industria agroalimentare piemontese è oggi forse la forza trainante dell’economia regionale: e se è vero che Barolo e Barbaresco, Moscato e Barbera, costituiscono una parte importante del fatturato e dell’export del settore, nella regione sono nati e si sono sviluppati negli ultimi decenni, altri distretti industriali importanti. Quello dolciario ad esempio distribuito un po’ in tutto il Piemonte, da Alba a Fossano, a Casale e Novi Ligure, quello delle carni e quello lattiero-caseario, ma anche quello dell’ortofrutta e della sua trasformazione e conservazione. Le cifre sono come sempre l’indicatore più significativo: il giro d’affari dell’agroalimentare piemontese supera ormai stabilmente gli 11 miliardi l’anno, il 9 per cento del totale nazionale, che pongono la regione al quarto posto nel settore, in Italia, dopo Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Dove il. Piemonte primeggia sono le esportazioni: un terzo di tutto ciò che viene prodotto per un valore di quasi tre miliardi e mezzo va all’estero (il 16 per cento del totale nazionale). Fatturato ed esportazione sono in crescita, nonostante la crisi anzi le vendite all’estero hanno avuto un incremento di quasi il 20 per cento negli ultimi due anni. A tirare la volata è sempre il vino (35 per cento) ma quote rilevanti dell’ export hanno anche conserve e succhi di frutta (13,5), dolciario (12,3%), pasta (9,8%), latte e derivati (8,1%). olii e grassi (7%), carni lavorate. “Perora, è vero, questo è un settore dove la crisi si sente meno che altrove - spiega Ernesto Abbona, proprietario della Marchesi di Barolo (vino di pregio, con un fatturato di 10 milioni) e responsabile del settore agroalimentare per Confidustria Piemonte - La sentiamo di meno proprio perché grazie all’export vivace, subiamo meno conseguenze dalla crisi dei consumi interni”. Abbona è ottimista: “Perché il mondo vuole sempre di più prodotti alimentari italiani che hanno un di più di qualità e di gusto. E quelli piemontesi in particolare. Perché siamo industrie che non hanno interesse a delocalizzare sia perché le nostre materie prime, le nostre “miniere” sono qui nel nostro territorio, sia perché sono nomi come Italia, Piemonte, Langa a fare la differenza, a dare un valore aggiunto sui mercati esteri ai nostri territori”. Attenzione però. Abbona lancia anche due allarmi: “In alcuni dei nuovi mercati dalla Russia alla Turchia, dal Vietnam alla Thailandia, stanno mettendo, anche per ragioni sanitarie o culturali, barriere doganali sui nostri prodotti. Che ci penalizzano perché quelli sono mercati emergenti. E prolifera sempre di più il falso made in Italy alimentare. E su questi temi che le istituzioni devono aiutarci all’estero: perché se Microsoft avesse avuto tutte le contraffazioni che noi dobbiamo subire voglio vedere se avrebbe avuto così grande successo”. Già. Non solo vino si diceva. Il Piemonte agroalimentare è anche quello dei dolciumi, di una multinazionale come la Ferrero da oltre 11 miliardi di fatturato, e al quarto posto tra le aziende del settore nel mondo. E il polo dolciario fossanese, ad esempio, con la Balocco (specializzata in biscotti) il cui fatturato ha avuto un incremento di quasi il 50 per cento dal 2007 ad oggi (da 92 a 137 milioni) secondo player in Italia nel mercato dei frollini (dopo Barilla) e che commercializza i suoi prodotti ormai in oltre 60 paesi del mondo o la Maina Panettoni. E ancora sempre nei prodotti da forno la Bistefani di Casale Monferrato, famosa per i crumiri, i dolci originali della zona, è diventata oggi azienda internazionale e ha rilanciato la merendina storica degli italiani il Buondì (ex Motta) rendendolo più leggero ed esportandolo in tutta Europa. E l’industria cioccolatiera che ha a nell’Alessandrino (l’Elah, Dufour, Novi, la Pernigotti), la Caffarel di Luseina San Giovanni. Quella dell’aceto e dei sottaceti (la Saclà di Asti, la Ponti di Sizzano (che fattura oltre 100 milioni l’anno, e non sono noccioline), la Galfré di Barge nel Cuneese, del lattiero caseario (Centrale del Latte di Torino, Abite così via). E ancora i 200 produttori ortofrutticoli del gruppo Lagnasco. Poi le nuove tecnologie: “Il settore dell’agroalimentare - spiega Massimo Giordano assessore regionale alle attività produttive - è uno dei pochi che continua a crescere e ad esportare. Anche per questo abbiamo deciso di investire ancora in ricerca e innovazione”. Con due iniziative: una piattaforma finalizzata con 20 milioni dedicati alla ricerca e con iniziative come il programma “Safe Food Control” per lanciare nuove linee per la cosiddetta “quarta gamma”, cioè prodotti ortofrutticoli conservati “freschi” (come le insalate prelavate) che coinvolge una dozzina di imprese oltre all’Università di Torino. E Tecnogranda il polo agroalimentare con sede a Cuneo che in tre diversi programmi ha già coinvolto quasi mille soggetti e mobilitato decine di milioni di risorse soprattutto private.

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