02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

Affari & Finanza / La Repubblica

Comunico dunque vendo il vino traina l’export facendo il giro del mondo ... Chicago, New York, Mosca e infine Hong Kong: ogni anno l’Expo di Verona spinge le aziende nazionali oltre confine. La Cina diventa quinta per importazioni e c’è chi guarda oltre, anche tra i piccoli produttori con varie iniziative per far conoscere vitigni e territori ... Roma Chicago, 30 aprile; New York 2 e 3 maggio; poi Mosca, il 29 e 30 ottobre e infine Hong Kong dall’8 al 10 novembre. Il giro per il mondo del Vinitaly ogni anno si fa più impegnativo. Il vino traina l’export del Made in Italy e con 4,1 miliardi di giro d’affari le vendite sui mercati stranieri sono cresciute lo scorso anno del 12,4%. Veronafiere, che detiene il 45% dell’intera offerta fieristica nazionale agroalimentare, è la principale piattaforma per la promozione di etichette, vitigni e territori. Sui mercati maturi, come gli Usa, ha contribuito al mantenimento delle posizioni che vedono l’Italia al primo posto davanti alla Francia. Su quelli emergenti fa da leva alla crescita. La Cina, mercato dalle enormi potenzialità, è balzata al quinto posto tra i paesi importatori secondo Mps wine index realizzato dall’area Research di Bmps insieme a Ismea. Il mercato domestico è in stallo. Ma l’export corre e copre la fetta più consistente del giro d’affari. Ma al momento tre soli paesi coprono il 40% dell’export, nell’ordine Germania, Uk e Usa. Per questo è importante spingere sulla diversificazione geografica. Per il prossimo futuro bisogna guardare a Europa dell’Est, Sud America, India, Corea del Sud e Thailandia, segnala sempre lo studio Bmps-Ismea. Le campagne di Russia hanno dato già ottimi risultati: in questo paese abbiamo registrato un tasso di crescita del 10% anno su anno, ed è diventato il quarto nella classifica dell’export italiano. Il trend è tutto in salita. “Circa 200 produttori italiani erano presenti al Vinitaly Mosca, visitato da oltre 2000 operatori russi. E’ un dato importante perché gli importatori russi si contano sulle dita”, commenta Giovanni Mantovani, Direttore generale di Veronafiere. Opinion leader, ristoratori, albergatori: il target chiave è accorso in massa. Spiega Mantovani: “Abbiamo notato una grandissima attenzione non più solo ai grandi brand, ma alla nostra produzione nella sua vastità e nelle sue peculiarità, iniziando a comparare le diverse tipologie, i rapporti qualità/prezzo ”. Piccolo, lungo e stretto il Belpaese ha una varietà ampelografica e una mappa diversificata di micro-climi da far invidia a paesi giganteschi come Usa e Cina. Vitigni autoctoni e varietà internazionali, più la mano esperta e la capacità interpretativa e creativa dei nostri produttori fanno dell’Italia un caleidoscopio di etichette. La sfida è farle conoscere oltreconfine. L’eccellenza dei nostri prodotti è il punto di forza del vino italiano, ma il tallone d’Achille è la capacità di marketing e di comunicazione, segnala uno studio di Massimiliano Bruni, docente alla Sda Bocconi. Solo poco più della metà dei produttori ha effettuato investimenti in politiche di comunicazione negli ultimi tre anni, evidenzia lo studio Bmps-Ismea. E la maggior parte di chi non ha investito non intende farlo neanche in futuro. Più numerosi e attivi su questo fronte sono i produttori del nord-est. Non è un caso: in questa area si trovano big come Giv cantine riunite, Cavit, Zonin e Mezzacorona. Gruppi grandi per dimensioni e familiarità con le politiche di marketing internazionale. Per i piccoli produttori il discorso diventa più impegnativo. Ma non impossibile. In questo fa scuola Angelo Gaja, produttore di Barolo e Barbera che ha fatto un pezzo di storia del vino in bottiglia d’Italia. Quando l’Italia era ancora la damigiana d’Europa, è partito alla volta degli States. Solo, ma animato da grande determinazione ha fatto diventare il vino italiano una star di Brodway e da lì il suo brand, scritto in caratteri grandi sulle etichette, è approdato nella carta dei vini di 1.200 ristoranti del mondo. “L’export deve diventare una ossessione” non si stanca di ripetere. Ma ora guarda con timore alla mancanza di vino: “C’è penuria nelle cantine italiane, che cosa succederà nel 2013?” denuncia nel suo ultimo scritto. Ma gli investimenti guardano al lungo periodo. E l’innovazione è l’altra carta vincente dei produttori italiani, secondo Massimiliano Bruni della Sda Bocconi. Un caposcuola dei nostri giorni è Marco Caprai che ha fatto di un vitigno indigeno dell’Umbria, il Sagrantino di Montefalco, il motore di crescita di un territorio: “The best of the best” per Robb Report, magazine americano culto del luxury lifestyle che ha dedicato al marchio Arnaldo Caprai una copertina. Oggi le sfide da affrontare sui mercati emergenti sono spesso gli ostacoli burocratici e i monopoli. A questo servono le delegazioni istituzionali, come quella partita verso Pechino a fine anno e capitanata da Lamberto Vallarino Gancia, presidente di Federvini, e Riccardo Monti, presidente Ici. Ma non basta. I buoni vini hanno bisogno di capacità distributiva, marketing e comunicazione. Un portafoglio di competenze che i piccoli possono conquistare mettendosi insieme. Con altri produttori è partito alla volta delle Fiere d’Oriente Armando Serena, presidente della Monselvini di Venegazzù, provincia di Treviso, ed è arrivato a vendere fino a Bali, passando per Cina, Corea, Giappone e persino Filippine. Una sfida commerciale costruita attorno a una novità: vendere l’Asolo Docg, invece di un Prosecco qualunque. Il risultato? L’export è cresciuto dell’86% e il fatturato ha superato i 20 milioni di euro.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024