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Affari & Finanza / La Repubblica

Ai giovani l’agricoltura piace, aumentano gli occupati e il Pil ... Milano “Consentitemi un termine poco istituzionale: fare agricoltura deve essere figo”. Se avesse usato il termine inglese “cool”, sarebbe sembrata comunque poco formale, ma meno ruspante. Eppure conlesueparole, il ministro dell’agricoltura Nunzia di Girolamo ha centrato l’argomento, perché i numeri snocciolati dall’Istat e di recente all’assemblea della Coldiretti le danno ragione: mostrano un settore che nonostante la crisi riesce a segnare un saldo positivo in una delle voci che creano più grattacapi a tutti i governi d’Europa, l’occupazione. E fare agricoltura appare davvero “figo” se è vero quanto sostiene un sondaggio, secondo il quale il38per cento dei giovani italiani preferirebbe gestire un agriturismo piuttosto che lavorare in una multinazionale (28percento) o fare l’impiegato in banca (26 percento). Il censimento dell’Istituto di statistica italiano relativo al 2011 ha messo in evidenza come gli occupati in agricoltura siano 969mila, il 2,2 per cento in più rispetto all’anno precedente. La tendenza è stata confermata nel primo trimestre di quest’anno, in cui i lavoratori agricoli complessivi sono saliti delle 0,7 per cento,mentre le assunzioni di under 35 hanno segnato l’incremento record del più nove per cento. Secondo il presidente della Coldiretti, Sergio Marini, con il ricambio generazionale si potrebbero inserire altri 200mila giovani nelle campagne. Ma servono nuovi interventi legislativi. “Sono necessarie norme efficaci per favorire il ricambio generazionale in agricoltura. Sono ancora troppo pochi i giovani impegnati direttamente nel settore primario”, ha sostenuto Luca Sani, presidente della commissione agricoltura della Camera dei deputati, riferendosi alle statistiche che parlano di una azienda “under 40” su dieci. “Le azioni prioritarie che la commissione agricoltura porterà avanti in questa direzione sono innanzitutto tre: promuovere concretamente, dopo anni di annunci, l’affidamento delle terre incolte, soprattutto demaniali, ai giovani agricoltori attraverso canoni agevolati di compravendita o affitto; incentivare l’affiancamento generazionale per consolidare il connubio tra innovazione tecnologica e tecniche tradizionali agricole e favorire l’accesso al eredito per le aziende condotte dai giovani imprenditori”, ha spiegato Sani. Lo stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano in un messaggio inviato all’assemblea della Coldirettiè stato chiaro: “Pur risentendo della situazione di grave difficoltà che attraversa l’economia del Paese, il mondo dell’agricoltura testimonia, con la sua passione e il suo impegno realizzativo, capacità di ripresa che possono contribuire in modo rilevante al processo di crescita dell’economia e dell’occupazione”. E Marini gli ha fatto subito da eco: “L’agricoltura è l’unico settore che dimostra segni di vitalità con una variazione tendenziale positiva del Prodotto interno lordo (+0,1 percento) e un aumento degli occupati dipendenti complessivi (+0,7 per cento), in netta controtendenza rispetto agli altri compatti”. In effetti nel primo trimestre, l’Italia ha segnato un calo tendenziale del Pil del 2,4% provocato dalle flessioni nell’industria e nei servizi, mentre il tasso di disoccupazione, è risultato ancora tra i più elevati d’Europa (12,2%). “Se capiamo che l’Italia ha una grande potenza nell’agroalimentare, noi incideremo ancora di più con questo comparto sul Pil e avremo generato occupazione”, cercando “di far tornare i giovani all’agricoltura”, ha sostenuto la di Girolamo, che ha anche annunciato una cabina di regia con i ministri Zanonato (Sviluppo economico) e Bonino (ministro degli Esteri) per aiutare «le aziende agricole che sono piccole ad andare sui mercati esteri facendo rete e squadra».
Nel frattempo, il valore dell’industria alimentare italiana è stato colto al volo dai grandi capitali stranieri che continuano a rastrellarne i marchi storici, dall’Orzo Bimbo agli spumanti Gancia, dai salumi Fiorucci alla Parmalat, dalla Star al Riso Scotti, fino al vino Chianti nel cuore della Docg del Gallo Nero, diventata proprietà di un imprenditore cinese. Sono molti e di prestigio i brand dell’agroalimentare italiano finiti in mani stranieri, per un valore complessivo, dall’inizio della crisi, di circa 10 miliardi di euro. A dominare il settore sono sempre le grandi multinazionali, che l’Italia non è stata in grado di creare. La difesa del sistema produttivo è affidata alle grandi cooperative che giocano un ruolo da protagonista nel settore vitivinicolo (Cantine Riunite, Caviro, Cavit e Mezzacorona) e nel settore lattiero caseario dove la fanno da padrone Kraft, Danone e la Lactalis che ha da poco rilevato anche la Parmalat. Nel 2011 il sistema produttivo cooperativo dell’agroalimentare valeva 35 miliardi e in tre anni è aumentato del 2%. Sono 5.900 imprese e consorzi con 993mila soci, che gestiscono tuttala filiera dal campo al mercato. Rispetto all’ultima rilevazione del 2008, oltre al fatturato, è cresciuto il numero di cooperative (+1,1%) e l’occupazione salita dello 0,5% a 94mila addetti. Per combattere la crisi, si deve ripartire da qui.

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