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Affari & Finanze / Corriere Della Sera

Bollicine a 5 stelle: da Trento a Asti ecco i distretti de lusso in bottiglia ... I brand globali come Ferrari continuano a crescere e a trainare l’export insieme ai marchi di territorio come il prosecco, in pieno boom. Aziende di famiglia che tengono testa alla crisi e promuovono l’italian lifestyle ... “All’estero siamo cresciuti del 15%, in Italia del 10% ma qui grazie ai consumi domestici, mentre soffre ancora la ristorazione”, Matteo Lunelli è il nuovo presidente delle Cantine Ferrari, in provincia di Trento, il marchio di punta delle bollicine italiane. Trentasette anni, una laurea alla Bocconi, cinque annidi esperienza in Goldman Sachs tra New York, Londra e Zurigo, dal 2003 Matteo Lunelli è tornato al business di famiglia che oggi è giunto alla terza generazione, coni cugini Marcello, enologo, vicepresidente, Camilla, capo della comunicazione e Alessandro capo dell’area tecnica e pianificazione. Il definitivo passaggio del testimone è di pochi mesi fa, con l’uscita di scena dello zio Gino, ora presidente onorario. “All’estero si respira un clima più positivo e negli ultimi anni l’apprezzamento delle bollicine italiane è in forte ascesa”, racconta Lunelli, appena tornato dal VinitalyTour a Washington, Usa, dove è esplosa la “bolla del Made in Italy” e già col piede sul prossimo aereo diretto in Giappone. “Negli Usa ora si sta facendo largo il Trento Doc, che riguarda la fascia più alta del mercato rispetto al Prosecco che è in pieno boom da tempo”. Il marchio Ferrari ha portato le bollicine italiane in tutto il mondo, primo a osare la grande sfida con i biasonati champagne francesi. Oggi la nuova scommessa è promuovere a brand globale la Trento Doc Metodo classico, un marchio di territorio che oggi sancisce la forza del distretto delle bollicine nato attorno a questa griffe, uno dei fiori all’occhiello di Fondazione Alta- gamma accanto a Versace, Bulgari e Ferretti Yacht. Sono almeno sei i distretti delle bollicine. Ciascuno con la sua impronta, la sua identità. Ma tra denominazioni ed etichette il consumatore si trova davanti a una giungla. Il brand di territorio dà forza e visibilità a tutti i produttori, anche i più piccoli, consentendo ai consumatori di identificare sotto lo stesso nome la denominazione, la provenienza, il disciplinare di produzione, il vitigno e altro. Una strategia che negli ultimi anni è risultata vincente, facendo emergere le chicche del lusso in bottiglia dal grande calderone dello “spumante”, che può indicare prodotti di basso costo e pessima qualità come etichette top. “Spumanti, una parola che va eliminata”, protesta da tempo Maurizio Zanella, presidente del Consorzio di tutela del Franciacorta, nonché produttore di Ca’ del Bosco, altra griffe di Fondazione Altagamma, uno dei marchi storici di questo territorio in provincia di Brescia, dove nomi come Berlucchi, Bellavista, (altro socio Fondazione Altagamma) Barone Pizzini hanno portato il Franciacortanell’Olimpo dell’enologia mondiale. Quest’anno il Franciacorta ha toccato il record: secondo i dati appena diffusi dal Cermes-Bocconi, l’incremento di vendite sul 2010 è stato del 16,7%, addirittura quasi il doppio, + 30%, se si guarda solo l’export. Tassi tanto più rilevanti se si tiene conto che, sempre secondo Cermes-Bocconi, il vino fermo italiano chiuderà il 2011 in flessione. “Prosecco, Asti, ora anche Oltrepò Pavese e Trento Doc: le bollicine italiane all’estero tirano sempre di più e ora siamo riusciti esportare in Svizzera l’Alta Langa Doc”, racconta Lamberto Vallarino Gancia, presidente di Federvini, presidente del consorzio Alta Langa, consorzio giovane di spumanti, fondato nel 2001. Lamberto Vallarino Gancia è la sesta generazione dei Gancia, storica famiglia di produttori di Canelli, in provincia di Asti: distretto divini, mossi e fermi prodotti da uve Moscato, presenti sulle tavole di tutto il mondo, dove il legame terra- prodotto è ormai storia. Spiega Gancia: “Un ruolo trainante è svolto dai ristoranti italiani all’estero che stanno lavorando particolarmente bene e diventano il canale per far conoscere le diverse etichette di bollicine e la loro identità territoriale specifica, particolarmente valorizzata dagli abbinamenti con il cibo”. I francesi fanno scuola: hanno
sempre promosso lo Champagne come brand di un territorio. Ora le bollicine italiane sono
al contrattacco. Il made in Italy vince la competizione globale con i territori unici e irripetibili,
che legano i vini alla natura e cultura di ogni triangolo di terra, l’arma con la quale Brunello, Barolo, Amarone e tutti gli altri sono riusciti a respingere i produttori australiani e neozelandesi che avevano invaso il mercato con prezzi bassi e vitigni internazionali senza una identità di provenienza. “Chi beve il Valdobbiadene Prosecco Docg deve poter vedere le nostre colline”, ama ripetere Gianluca Bisol, che ha portato il Prosecco e il Cartizze (il cru) a primati d’eccellenza, unico relatore italiano al Wine Future di Hong Kong, la settimana scorsa, insieme ad Angelo Gaja, il padre spirituale dell’enologia italiana. Il Prosecco è la famiglia di bollicine che corre più di tutte: un tempo nome di vitigno, oggi denominazione del territorio distretto a cavallo tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, è diventato oggi “un lifestyle symbol, piace e diverte”, ha detto Bisol. Ma tiene su anche il Pii: solo il Valdobbiadene, il cuore nobile, fattura 400 milioni di euro, secondo un report del Centro Studi di distretto appena presentato a Londra. E, soprattutto grazie all’Asia, mercato al galoppo, promette di arrivare a produrre un miliardo di bottiglie entro 25 anni. Con una promessa:
30.000 nuovi posti di lavoro.

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