La primavera è iniziata, e la lunga stagione delle diverse raccolte agricole italiane è alle porte. E, come ogni anno, da tempo immemore ormai, si presenta il problema della mancanza di lavoratori stagionali. A cui, ormai, le imprese riescono a sopperire, con difficoltà, quasi esclusivamente guardando agli extracomunitari, perchè gli italiani che tornano all’agricoltura lo fanno soprattutto come imprenditori, e non come lavoratori subordinati, e perchè quelli che per qualche anno sono stati “neo comunitari”, provenienti da Paesi come Romania, Polonia e non solo, al migliorare delle condizioni economiche stanno iniziando a tornare nei loro Paesi di origine. Nell’immediato, in ogni caso, i problemi sono soprattutto procedurali per far arrivare i lavoratori extracomunitari. Ma alla lunga, il problema sarà sempre più strutturale, senza un’inversione di tendenza, perchè l’attuale bacino di lavoratori italiani e comunitari si riduce sempre di più, ed in un mondo in continuo mutamento non è escluso che questo accada anche sul fronte degli extracomunitari, tra 20 o 30. Come spiega, a WineNews, Roberto Caponi, Direttore Area Politiche del Lavoro Confagricoltura, la più grande organizzazione datoriale dell’agricoltura italiana.
“A livello nazionale abbiamo sempre stimato che mancano intorno alle 100.000 unità di lavoro stagionale, in agricoltura, il numero più o meno è stabile da anni. E le quote previste dal “Decreto Flussi”, per il 2024, sono intorno alle 89.000 unità per il lavoro subordinato stagionale, quindi ci si avvicina a quelle che sono le necessità. Il problema - spiega Caponi - sono sempre le procedure e i tempi: il 25 marzo ci sarà il “click day”, poi però servono un paio di mesi, perchè con gli extracomunitari servono i visti dai Paesi di origine, e non è sempre semplice ottenerli. Per le campagne di raccolta che cominciano ormai a breve, siamo già in ritardo. In realtà il click day infatti era previsto a febbraio, ma poi spostato a marzo, perchè c’era stato un altro “click day” a dicembre e c’era il rischio di sovrapposizioni”.
Ma il problema di fondo è che mentre si parla spesso del “ritorno dei giovani all’agricoltura”, la realtà è un’altra, e molto meno rosea. “Il problema è che è difficile che i giovani - spiega Caponi - si convincano a lavorare in agricoltura. O meglio, si interessano al settore ma come imprenditori, difficilmente come lavoratori subordinati ed il bacino “italiano” che c’è si va esaurendo. C’è stato anche il bacino dei “neoeuropei”, Romania, Polonia e così via, che, per anni, ha compensato le cose, ma ora, man mano queste persone che erano venute in Italia hanno condizioni economiche migliori, tornano nei loro Paesi di origine, che oggi fanno parte della Ue. E, quindi, sul lungo termine, se non si riesce ad invertire la rotta e rendere più appetibile il lavoro agricolo per i giovani, ci saranno sempre più problemi nel trovare manodopera”. E la soluzione non è semplice, perchè i nodi da sciogliere sono tanti. “C’è una narrazione distorta del lavoro agricolo, dipinto solo pesante, poco creativo, spesso con casi di sfruttamento, che ovviamente ci sono, ma non sono la regola, ma l’eccezione che va combattuta. Quando a qualcuno si dice ancora “braccia rubate all’agricoltura”, è segno che c’è ancora una connotazione negativa. È chiaro che quello della manodopera agricola è un lavoro pesante, ma non più di altri, e quanto meno si fa in campagna, in mezzo alla natura”. Ma, ovviamente, c’è anche il tema delle retribuzioni, soprattutto nella fase di produzione della materia prima che, come hanno raccontato anche le proteste in strada, in Italia ed in Europa, non se la passa proprio bene a livello economico. “Il problema della retribuzioni è reale. Le imprese e le rappresentanze di filiera come Confagricoltura possono fare sforzi sui contratti, salvaguardando il potere di acquisto, ma se ci fosse un forma di detassazione o di aiuto per gli incrementi contrattuali da parte dello Stato, questo già renderebbe più vantaggioso il lavoro agricolo. E poi ci piacerebbe riavvicinare i giovani. Per esempio, per gli studenti che magari si dedicano per qualche settimana o qualche mese al lavoro agricolo, con il classico esempio della vendemmia, ma non solo, oltre allo stipendio, si potrebbe prevedere uno sgravio, se non l’esenzione, dal pagare le tasse universitarie. Sarebbe certamente un incentivo, e magari qualche giovane potrebbe anche scegliere di restare a lavoro nel settore, o comunque molti di più capirebbero cosa è il lavoro agricolo e quale è il suo lavoro, competenza che li potrebbe aiutare in un futuro quando da avvocati, notai, imprenditori e così via si trovassero a prendere decisioni in tema di agricoltura”. In ogni caso, il tema è strutturale, e va affrontato in maniera organica. Perchè se gli italiani nei campi già oggi mancano, ed iniziano a trovarsi con difficoltà quelli che un tempo erano extracomunitari, come detto, non è da escludere “che tra 20 o 30 anni, magari, non si trovino più neanche gli extracomunitari”, conclude Roberto Caponi, Direttore Area Politiche del Lavoro Confagricoltura, la più importante organizzazione datoriale dell’agricoltura italiana.
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