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AGROALIMENTARE: “PRODOTTI TIPICI E’ FENOMENO IMPORTANTE”. LO DICE NOMISMA

La convergenza delle attenzioni dei consumatori, delle imprese e delle istituzioni verso i prodotti tipici è uno dei fenomeni più rilevanti nell’evoluzione del panorama agroalimentare nazionale. Uno dei risvolti che più testimonia tale apprezzamento riguarda la corsa al riconoscimento Dop e Igp, che da strumenti di tutela comunitari vengono sempre più visti anche come strumenti di marketing, capaci di offrire una strategia di differenziazione alle imprese agroalimentari che intendono sfuggire a logiche competitive basate solamente sul prezzo. Emerge dallo studio, realizzato da Nomisma e Paolo Palomba su “Marketing dei prodotti tipici”, che sarà presentato a “Tuttofood” (10/13 giugno 2009) ed analizza la valorizzazione dei prodotti agroalimentari “del territorio”, le criticità, le prospettive e rapporti con la Grande Distribuzione.

Le evidenze di tale apprezzamento da parte dei produttori agroalimentari - spiega la ricerca - “stanno negli oltre 830 prodotti Dop e Igp registrati oggi a Bruxelles, 177 dei quali di origine italiana. A dispetto però di questa finalità di differenziazione, le problematiche che insistono oggi nei sistemi di produzione certificata inducono a pensare che si sia ancora lontani dall’aver raggiunto tale obiettivo. Molte Dop e Igp oggi iscritte all’Albo comunitario risultano ancora “sulla carta”. In certi casi, come in quello dell’olio extravergine di oliva, l’incidenza delle quantità certificate sulla produzione complessiva ottenuta nell’areale di produzione della Dop/Igp è pari ad appena il 10%”.

Questa discrasia, che si ripete seppur con incidenze superiori anche negli altri comparti merceologici come quello dell’ortofrutta o delle carni preparate, dipende da diversi fattori, primo fra tutti il mancato riconoscimento da parte del consumatore di un sovrapprezzo in grado di ripagare i produttori dei maggiori costi collegati alla Dop/Igp. Se da un lato risulta che appena il 16% dei consumatori italiani riconosce il simbolo della Dop o dell’Igp (secondo quanto riportato da un recente studio della London Economics), dall’altro lato occorre ricordare come l’adesione ad un circuito di qualità certificata comporta costi significativi che iniziano ad esprimersi già nell’iter amministrativo di riconoscimento.

A parte il fatto che nel passato per ottenere l’iscrizione al registro comunitario - spiega la ricerca di Nomisma - “si sono dovuti attendere anche 8-10 anni, una volta avvenuta la registrazione si devono poi sostenere svariati oneri che vanno ad incidere sulla gestione aziendale in maniera differente a seconda della dimensione produttiva: basti pensare che, in alcuni casi - come quelli delle “piccole” Dop dell’olio - i soli costi di certificazione possono arrivare ad incidere fin oltre il 10% del prezzo di vendita all’origine del prodotto”. Nel caso, invece, dei prodotti Dop e Igp italiani ad elevato volume di offerta (quelli con un fatturato sopra i 100 milioni di euro rappresentano appena il 9% delle denominazioni di origine riconosciute ma sono responsabili dell’88% del fatturato complessivo del settore certificato) non sono i costi di certificazione ad impensierire i produttori, quanto la necessità di individuare sia nuovi mercati di sbocco che percorsi per un’organizzazione più efficiente della fase di commercializzazione. Essendo infatti la polverizzazione dell’offerta - aggiunge lo studio - “un tratto comune anche ai “big Dop”, i quali si trovano però a contrapporre alti volumi di prodotto nei confronti di pochi compratori (quello che in gergo economico si configura come una situazione di oligopsonio), per queste denominazioni si configurano logiche di mercato che, paradossalmente, sono tipiche delle produzioni commodity. L’effetto “differenziante” del marchio Dop, in questi casi, praticamente sembra annullarsi.

Ecco allora che, tra rischio “anonimato” per le piccole Dop e ricerca di mercati di sbocco per le grandi denominazioni di origine occorre individuare dei percorsi di valorizzazione in grado di garantire una continuità futura alla filiera dei prodotti “del territorio”, composta da un tessuto di 75.000 aziende agricole e oltre 6.000 imprese di trasformazione. Percorsi che non possono non tenere in considerazione il ruolo della Grande Distribuzione, responsabile delle vendite di quasi il 60% delle quantità certificate di prodotti Dop e Igp italiani. La crescita delle Marche del Distributore, sia in termini quantitativi che qualitativi, mediante la segmentazione ed il marketing, è stato un percorso fecondo di innovazione e originalità anche in Italia in questi ultimi 10 anni. Proprio in questi mesi si registrano incrementi significativi delle vendite di prodotti a marca del distributore anche nella fascia premium nonostante la crisi economica in corso”.

La gdo, declinando in modo differenziato per ciascuna insegna il marchio proprio per i prodotti tipici, continua l’analisi di Nomisma, ha consentito di rendere molto più accessibili i prodotti portandoli con maggiore enfasi là dove si reca quotidianamente il consumatore, ma anche consentendone un consumo più frequente grazie anche all’accessibilità dei prezzi. Premium è il posizionamento eccellente nella categoria, ma pur sempre nell’ambito di offerta di un supermercato o ipermercato che, per ogni livello qualitativo, intende proporre prodotti con un valido rapporto qualita’/prezzo. La crescita delle vendite di prodotti tipici nella gdo si è realizzata parallelamente allo sviluppo del marketing distributivo più in generale”.

Il posizionamento “premium” delle Marche del Distributore è nato in Italia con i prodotti tipici. Marche sempre più importanti “al punto di essere richieste da catene distributive straniere per ragioni di servizio oltre che di marketing. Se questo percorso e’ nato inizialmente allo scopo di sviluppare una leva di marketing della distribuzione, ci si è poi resi conto in questi ultimi dieci anni - precisa la ricerca - che la collaborazione realizzata tra mondo delle piccole e medie imprese alimentari e mondo della distribuzione può rappresentare uno spunto virtuoso nell’interesse non solo delle singole imprese, ma di tutto il Paese”.

E’ quindi necessario - conclude Nomisma - “ridurre le diffidenze, accrescere le competenze, sviluppare nuovi modelli di relazione fra produzione e distribuzione, sperimentare nuovi soggetti collettivi, perseguendo la tutela del consumatore e la protezione dall’agropirateria, valorizzando e sviluppando contemporaneamente le vendite di tali prodotti in Italia e all’estero”.

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